Stefano Sacripanti, in diciotto mesi dalla zona retrocessione alla «quasi» finale scudetto del basket. Soprattutto, da «allenatore per caso» ad allenatore dell’anno... «Una stagione indimenticabile, questa con Cantù. È una soddisfazione personale enorme che desidero condividere con lo staff. È vero, sono diventato capo-allenatore per una situazione casuale che si era creata nel dicembre del 2000; però quello era il destino che avevo cercato di ritagliarmi. Ho vinto titoli giovanili, ho fatto della pallacanestro la mia vita: ho solo imboccato la strada giusta. Almeno, lo spero».
Rimarrà a Cantù?
«Vorrei restare, non dovrebbero esserci problemi. Così mi ha detto il presidente Corrado».
Fantabasket, ma non troppo: e se la cercano, per dire, o la Virtus o magari Treviso, visto che D’Antoni tornerà negli Usa...?
«Fantabasket, l’avete detto voi».
Giuri di non essere stato contattato da nessuno.
(risata) «No, non lo giuro. Diciamo che qualche pour parler c’è stato. Ma rimarrò a Cantù: è utile per la mia crescita come allenatore».
È pronto a un nuovo miracolo?
«Sarebbe bello, lo desidero e ci proverò, ma...».
Prego, dica pure.
«Esiste un pericolo, adesso. È la tentazione di ritenerci dei padreterni invincibili. Se lo penseremo, faremo una fine sciagurata. Piuttosto, servirà una moltiplicazione degli sforzi per mantenere equilibrio e motivazioni».
Teme il ritorno all’ordinario?
«Non dovremo temerlo; sarà però necessario confrontarci con questo rischio oggettivo».
L’ordinario, peraltro, ha anche un significato opposto rispetto al concetto di ridimensionamento. Normalità può anche essere che Cantù rimanga a questo livello, più adatto al suo blasone.
«Diventa fondamentale il programma che la società varerà. Ad ogni livello. Già, perché alle spalle della squadra che qualcuno, probabilmente per vituperarci, ha aggettivato come "americana", c’è la realtà delle tre selezioni giovanili che hanno raggiunto le finali nazionali. Cantù, insomma, non rinuncia a un progetto "giovane" e, soprattutto, italiano».
Eurolega sì, Eurolega no: il tecnico, ora, che cosa vota?
«Professionalmente, partecipare al massimo torneo continentale sarebbe una grande occasione. Ma significherebbe smantellare il gruppo e ricostruirlo: l’idea non mi spaventa, anche se sappiamo quello che perderemmo e non quello che troveremmo. Ma mi domando se saremo ancora in grado di fare il passo secondo la nostra gamba dal punto di vista finanziario. In questo senso, io sono forse più realista del presidente: sarà difficile quadrare il cerchio».
Ipotizziamo che parteciperete: dovrà allora rinunciare a quattro dei sei americani. Chi scarterà?
«Innanzitutto valuteremo le richieste contrattuali. Rapporto qualità/prezzo: è il faro che ci ha pilotato la scorsa estate. Del quintetto base, Thornton è l’uomo più rappresentativo, McCullough quello esploso nel finale: ecco, d’acchito penso a loro due. Ma uno come Hines, pur avendo giocato maluccio nel finale dei playoff, ci ha risolto tante partite».
Chi prenderete?
«È presto per dirlo. Il mercato europeo è ostico, per chi non vuole spendere troppo. E non rinunceremo a valutare i giocatori anche e soprattutto sul piano umano».
Il sogno nel cassetto?
«Come giocatore, direi Ginobili. Ma ormai è un sogno anche per chi l’ha avuto fin qui, ovvero la Virtus. Più in generale, il sogno è vincere qualcosa con Cantù. E confesso che non mi dispiacerebbe riprovarci con questo gruppo: ha margini inesplorati».
Il momento di esaltazione e quello di rabbia, nella stagione.
«Esaltazione prima dei quarti con Siena: sentivo che eravamo forti e pronti, anche se tutti ci immaginavano macellati dal Montepaschi. Quello è stato anche il momento di vera rabbia: mi ha dato fastidio sentir dire che avremmo mollato. Avremo avuto dalla nostra anche i "colpi di culo", scusate l’espressione, ma non si va lontano senza un lavoro in profondità».
Batterà cassa, adesso, Sacripanti?
«Il giusto. Il pragmatismo canturino mi porta a non scordarmi dove sono e quanto, al massimo, posso chiedere. Certo, mi fa piacere il fatto che non sono più trattato come un ragazzino».
E se l’anno prossimo dovesse andare male?
«Vorrà dire che dovrò cambiare casa...».
Flavio Vanetti
Rimarrà a Cantù?
«Vorrei restare, non dovrebbero esserci problemi. Così mi ha detto il presidente Corrado».
Fantabasket, ma non troppo: e se la cercano, per dire, o la Virtus o magari Treviso, visto che D’Antoni tornerà negli Usa...?
«Fantabasket, l’avete detto voi».
Giuri di non essere stato contattato da nessuno.
(risata) «No, non lo giuro. Diciamo che qualche pour parler c’è stato. Ma rimarrò a Cantù: è utile per la mia crescita come allenatore».
È pronto a un nuovo miracolo?
«Sarebbe bello, lo desidero e ci proverò, ma...».
Prego, dica pure.
«Esiste un pericolo, adesso. È la tentazione di ritenerci dei padreterni invincibili. Se lo penseremo, faremo una fine sciagurata. Piuttosto, servirà una moltiplicazione degli sforzi per mantenere equilibrio e motivazioni».
Teme il ritorno all’ordinario?
«Non dovremo temerlo; sarà però necessario confrontarci con questo rischio oggettivo».
L’ordinario, peraltro, ha anche un significato opposto rispetto al concetto di ridimensionamento. Normalità può anche essere che Cantù rimanga a questo livello, più adatto al suo blasone.
«Diventa fondamentale il programma che la società varerà. Ad ogni livello. Già, perché alle spalle della squadra che qualcuno, probabilmente per vituperarci, ha aggettivato come "americana", c’è la realtà delle tre selezioni giovanili che hanno raggiunto le finali nazionali. Cantù, insomma, non rinuncia a un progetto "giovane" e, soprattutto, italiano».
Eurolega sì, Eurolega no: il tecnico, ora, che cosa vota?
«Professionalmente, partecipare al massimo torneo continentale sarebbe una grande occasione. Ma significherebbe smantellare il gruppo e ricostruirlo: l’idea non mi spaventa, anche se sappiamo quello che perderemmo e non quello che troveremmo. Ma mi domando se saremo ancora in grado di fare il passo secondo la nostra gamba dal punto di vista finanziario. In questo senso, io sono forse più realista del presidente: sarà difficile quadrare il cerchio».
Ipotizziamo che parteciperete: dovrà allora rinunciare a quattro dei sei americani. Chi scarterà?
«Innanzitutto valuteremo le richieste contrattuali. Rapporto qualità/prezzo: è il faro che ci ha pilotato la scorsa estate. Del quintetto base, Thornton è l’uomo più rappresentativo, McCullough quello esploso nel finale: ecco, d’acchito penso a loro due. Ma uno come Hines, pur avendo giocato maluccio nel finale dei playoff, ci ha risolto tante partite».
Chi prenderete?
«È presto per dirlo. Il mercato europeo è ostico, per chi non vuole spendere troppo. E non rinunceremo a valutare i giocatori anche e soprattutto sul piano umano».
Il sogno nel cassetto?
«Come giocatore, direi Ginobili. Ma ormai è un sogno anche per chi l’ha avuto fin qui, ovvero la Virtus. Più in generale, il sogno è vincere qualcosa con Cantù. E confesso che non mi dispiacerebbe riprovarci con questo gruppo: ha margini inesplorati».
Il momento di esaltazione e quello di rabbia, nella stagione.
«Esaltazione prima dei quarti con Siena: sentivo che eravamo forti e pronti, anche se tutti ci immaginavano macellati dal Montepaschi. Quello è stato anche il momento di vera rabbia: mi ha dato fastidio sentir dire che avremmo mollato. Avremo avuto dalla nostra anche i "colpi di culo", scusate l’espressione, ma non si va lontano senza un lavoro in profondità».
Batterà cassa, adesso, Sacripanti?
«Il giusto. Il pragmatismo canturino mi porta a non scordarmi dove sono e quanto, al massimo, posso chiedere. Certo, mi fa piacere il fatto che non sono più trattato come un ragazzino».
E se l’anno prossimo dovesse andare male?
«Vorrà dire che dovrò cambiare casa...».
Flavio Vanetti