ROSETO - A volte ritornano. E parcheggiano il "jeeppone" sul lungomare di Roseto. E quando ritornano è sempre festa. Un caleidoscopio di luci, suoni e colori ne annuncia l'arrivo, ovviamente in ritardo, ovviamente ad una cena da lui convocata. Signori: Michele Martinelli, ormai moro di capelli, con pantaloni arancio e doppiopetto blu a coprire una vezzosa camicia. L'effetto Porfirio Rubirosa, celebre playboy portoricano di qualche decennio fa, è assicurato. L'ex Patron del Roseto Basket, autore di 5 stagioni vissute tutte d'un fiato nel Lido delle Rose, approfitta della bella serata per chiamare a raccolta intorno ai tavoli dell'ottimo Hotel Bellavista giornalisti e addetti ai lavori. Ci sono tutti, salvo un paio di assenti che però hanno mandato i saluti. Ci sono tutti, amici e nemici di cento e oltre partite, che hanno scritto, detto e maledetto, parlato e straparlato intorno a questo fenomenale cinquantenne romano-aquilano, che ha ormai trovato (e se la tiene stretta) la formula dell'eterna giovinezza, che condisce con il solito sorriso beffardo di chi ha l'aria di dirti: "So una cosa che tu vorresti sapere e magari, se mi fa piacere, dopo te la dico". Questo è Michele Martinelli, prendere o lasciare tutto intero, con il suo pesante fardello di promozioni, vittorie, traguardi storici e emozioni vissute a Roseto. Così può capitare di sentirlo, passata l'oretta dedicata al rancio (ottimo e abbondante), arringare la camerata quando il vino si fa largo (fra i giornalisti, lui è astemio) e l'atmosfera da caserma prende il sopravvento. Eccolo, Miguelon, vuotare il sacco su 5 stagioni rosetane. Dall'estate della B2 che divenne B1 come l'acqua divenne vino alle Nozze di Cana, agli insulti ingoiati per difendere l'ingaggio di Leo Busca nei confronti di una piazza imbufalita che reclamava, invece, un rinforzo sotto le plance e l'intoccabilità di Franceschin. C'è poi la prima stagione in A2, con il mitico assegno che il pessimo esterno Clifton Clark (chi era costui?) riuscì ad incassare nonostante una firma impropria, scappando subito dopo negli States, con tanto di telefonino per souvenir. E ancora, ricordando il primo anno fra i professionisti, la firma di Shackleford e la marcia indietro di Melillo, che gli preferì Shorter, quello che poi andava agli allenamenti con la mazza da baseball, perché non tollerava i commenti fuori dalle righe dei tifosi. Ma c'è dell'altro, come la stagione vissuta pericolosamente e vinta in A2, con la firma di Moretti prima e di Boni poi, con gli striscioni contro il "Duca di Carinate" che pare sia di Biella e con lo storico traguardo della A1. E poi la massima serie e le battaglie del caso Sheppard e del minimo contrattuale degli stipendi. Da ultimo, il suo vaticinio: "Avrei ricominciato confermando Boni" e il suo appello nobile: "State vicini alla nuova Società senza, rompere troppo le scatole come fate di solito". Ma Martinelli che fa, lascia il basket? Macchè! Intanto non si sa bene se ripartirà dalla B1, a Rieti e se punterà la Giba per una nuova battaglia contro l'iscrizione obbligatoria e il prelievo del T.F.R. dei giocatori. Ma la notizia bomba è ancora un'altra: Martinelli, insieme a due grandi agenzie statunitensi che controllano atleti del basket fra i più famosi, costituirà una super agenzia in Italia. Una volta saputa questa, ripensare al caso Sheppard e alle domande del tipo: "Presidente, ma chi c'è dietro?" fa sorridere a quattro ganasce. Dietro non c'era nessuno. Davanti, come al solito, c'è lui: Michele Martinelli, manager del basket.
Luca Maggitti
Luca Maggitti