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Magnifico, squadra italiana senza fretta

PESARO — «Nessun fuggi fuggi dalla sede, nessuna confusione sui progetti. E non siamo in ritardo. Calma e gesso. La fretta nel fare le cose non porta mai a buoni risultati».
Comincia protestando Walter Magnifico, che al primo anno fuori dal parquet parla già come un dirigente consumato: «Capisco che quando una stagione finisce senza sorriso c'è più fretta di conoscere le mosse future, la voglia di voltare pagina è maggiore per dimenticare quello che non è piaciuto — dice Walter —, per sperare in qualcosa di meglio. Ma proprio per questo bisogna riflettere di più: abbiamo due mesi davanti a noi per costruire».
Il presidente è amareggiato: si va verso un ridimensionamento?
«E' normale che Valter Scavolini accusi per primo i momenti di esaltazione e quelli di abbattimento. Questo non significa che non gli importi più niente del basket».
Il figlio Gianmarco ha dichiarato che serve più bravura nelle scelte: vi sentite chiamati in causa?
«Bè certo, se l'impegno economico è minore bisogna essere più bravi a utilizzare il budget a disposizione, capire le capacità tecniche dei giocatori quando magari sono semi-sconosciuti, ridurre il margine di errore. Ma l'equazione grandi investimenti uguale grandi squadre non sempre è vera».
Questo significa che ci sono stati degli errori quest'anno?
«Su questo mi permetto di non essere d'accordo. Un conto è come vengono fatte le squadre, un altro è come poi si esprimono in campo. Se mi dite che la Scavolini di quest'anno non fosse forte, e sono in molti a dirlo, allora io non capisco niente di pallacanestro».
L'ipotesi di una squadra giovane spaventa i tifosi: che dire loro?
«Che non ci saranno repulisti, nè sarà una squadra formata da dieci giovani, ma che un paio potranno trovare spazio nei dieci e crescere serenamente. Porto il mio esempio: a 19 anni Skansi mi mise in quintetto ma al mio fianco c'erano Benevelli, Bouie, Silvester. La responsabilità sulle mie spalle era zero e giocai subito bene. Certo, poi quando un ragazzo va in campo non lo si può crocifiggere al primo errore».
Squadra di italiani?
«Perché no? Tutti parlano della valorizzazione del nostro patrimonio poi nessuno agisce. La Spagna è rinata anche a livello di Nazionale valorizzando i loro prodotti e guardate che bei giocatori sono emersi. Prima delle leggi governative che tardano, mettiamoci il desiderio dei nostri presidenti: si può anche andare contro-corrente».
Un nome?
«Flamini ricopre un ruolo, quello di ala piccola, dove non emerge nessuno da anni. Se è vero che Pittis detta ancora legge in A1».
Ci crede che questo progetto possa portare lontano?
«Io sì. Perché alla fine è il modo in cui giochi o sei coinvolto in una squadra che fa la differenza».
Elisabetta Ferri
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