BOLOGNA - L’immagine che non vorremmo mai vedere: Marco Labozzetta, il collega trevigiano colpito da una moneta e da un paio di cazzotti che giace insanguinato davanti allo spogliatoio, con l’incredulo Charlie Bell che lo conforta e si domanda se, lasciando gli Stati Uniti, è finito in un basket serio o in un mondo pullulante di violenti «balùba». La risposta giusta è la seconda, almeno per quello che succede quando al terzo scudetto di Treviso, legittimo e sacrosanto, mancano un minuto e due secondi: dopo un precedente tentativo arginato a malapena, la frangia intollerante del tifo fortitudino ha la meglio su quei sostenitori - la maggioranza - che accettano il verdetto. Dalla transenna sfondano due energumeni che cercano di aggredire l’arbitro Cicoria: uno finisce in braccio alla polizia, l’altro lo placca Mike D’Antoni.
Matteo Boniciolli, allenatore della Fortitudo Bologna, poco prima aveva afferrato il microfono nel tentativo di far ragionare chi aveva perso il senno. Tutto inutile, comunque. L’ottantesimo campionato di basket termina nell’onta di un risultato a tavolino (20-0; inutile l’89-81 acquisito sul campo al momento della sospensione), nel segno dell’inevitabile stangata (tre giornate al campo della Skipper, commutate in una multa da 16 mila euro), negli strascichi fuori dal palazzo (tafferugli e cotillons) e nell’ennesimo sputtanamento della nostra pallacanestro. Mai uno scudetto era stato assegnato senza che la partita decisiva avesse capo e coda.
Sì, ci mancava giusto il finale da saloon e in diretta tv, nemesi per uno sport che si lamenta di non avere più visibilità, a compendio dell’annata in cui le squadre erano dispari, in cui un club è fallito e ora sparisce(Verona), in cui è stato licenziato il miglior tecnico italiano (Ettore Messina), in cui a Roseto il presidente ha tesserato il fratello per completare l’organico e raggiungere il minimo di spesa imposto dalla Lega.
E il peggio, forse, deve ancora venire. A chi finirà l’Olimpia Milano? A Divier Togni, magari? Pare ci siano intoppi: sulle modalità di acquisizione del club da Sergio Tacchini e, soprattutto, sull’appoggio del Comune, se è vero che le promesse dell’assessore allo sport non sono per nulla condivise dal sindaco. Reggio Emilia, intanto, si è già mossa per rilevare i diritti milanesi. Avviso ai naviganti, allora: che nessuno faccia giochi poco trasparenti. Non passerà.
Per fortuna, tuttavia, ci sono anche le immagini belle. Ad esempio quella dei giocatori sconfitti che abbracciano i vincitori, o quella di una Benetton che domina anche gara-3 e chiude la serie con il «cappotto». Oppure quella di Mike D’Antoni, l’uomo degli scudetti (cinque da giocatore, due da tecnico). «Il mio merito? Non aver rovinato il valore dei giocatori». Però Pittis desidera riequilibrare il bilancio a favore del tecnico: «D’Antoni è stato l’uomo chiave: ha dato serenità a un gruppo che l’aveva persa». Tornerà nella Nba e andrà a Phoenix, adesso, Mike? «Ne parliamo tra qualche giorno», ridacchia l’interessato. Ma Pittis ha pessimi presagi e Gilberto Benetton pure. Il grande capo farà di tutto per trattenerlo: D’Antoni e il suo stile sono una ventata di aria fresca, in un basket maleodorante.
Flavio Vanetti
Matteo Boniciolli, allenatore della Fortitudo Bologna, poco prima aveva afferrato il microfono nel tentativo di far ragionare chi aveva perso il senno. Tutto inutile, comunque. L’ottantesimo campionato di basket termina nell’onta di un risultato a tavolino (20-0; inutile l’89-81 acquisito sul campo al momento della sospensione), nel segno dell’inevitabile stangata (tre giornate al campo della Skipper, commutate in una multa da 16 mila euro), negli strascichi fuori dal palazzo (tafferugli e cotillons) e nell’ennesimo sputtanamento della nostra pallacanestro. Mai uno scudetto era stato assegnato senza che la partita decisiva avesse capo e coda.
Sì, ci mancava giusto il finale da saloon e in diretta tv, nemesi per uno sport che si lamenta di non avere più visibilità, a compendio dell’annata in cui le squadre erano dispari, in cui un club è fallito e ora sparisce(Verona), in cui è stato licenziato il miglior tecnico italiano (Ettore Messina), in cui a Roseto il presidente ha tesserato il fratello per completare l’organico e raggiungere il minimo di spesa imposto dalla Lega.
E il peggio, forse, deve ancora venire. A chi finirà l’Olimpia Milano? A Divier Togni, magari? Pare ci siano intoppi: sulle modalità di acquisizione del club da Sergio Tacchini e, soprattutto, sull’appoggio del Comune, se è vero che le promesse dell’assessore allo sport non sono per nulla condivise dal sindaco. Reggio Emilia, intanto, si è già mossa per rilevare i diritti milanesi. Avviso ai naviganti, allora: che nessuno faccia giochi poco trasparenti. Non passerà.
Per fortuna, tuttavia, ci sono anche le immagini belle. Ad esempio quella dei giocatori sconfitti che abbracciano i vincitori, o quella di una Benetton che domina anche gara-3 e chiude la serie con il «cappotto». Oppure quella di Mike D’Antoni, l’uomo degli scudetti (cinque da giocatore, due da tecnico). «Il mio merito? Non aver rovinato il valore dei giocatori». Però Pittis desidera riequilibrare il bilancio a favore del tecnico: «D’Antoni è stato l’uomo chiave: ha dato serenità a un gruppo che l’aveva persa». Tornerà nella Nba e andrà a Phoenix, adesso, Mike? «Ne parliamo tra qualche giorno», ridacchia l’interessato. Ma Pittis ha pessimi presagi e Gilberto Benetton pure. Il grande capo farà di tutto per trattenerlo: D’Antoni e il suo stile sono una ventata di aria fresca, in un basket maleodorante.
Flavio Vanetti