Oggi il sole di Jesolo, poi quello della Sardegna, infine del Kenia: questo il programma-ferie di Ricky Pittis, che con lo scudetto nel cuore se ne sta spaparanzato in spiaggia a far riposare le stanche membra. Allora, capitano, saranno vacanze favolose. «Ah, guardate, mi sento veramente ubriaco di felicità». Detto da uno che ha vinto 17 trofei non è male. «Bella frase, eh? Non c'è niente da fare, le vittorie ti ringiovaniscono: dopo aver faticato tutta una stagione sono stato ripagato così. Ne valeva la pena».
Dì la verità: hai fatto un patto col diavolo.
«Direi che è lui ad averlo fatto con me... No, il segreto è solo la grande voglia che hai dentro e che non ti fa sentire la stanchezza. La carta d'identità conta fino ad un certo punto, per me è soprattutto questione di testa. E poi c'entra anche la fortuna, quella di aver sempre trovato delle squadre competitive e di non aver subìto infortuni gravi».
Però hai dovuto diventare mancino per continuare a tirare.
«Quella è stata una sfortuna per modo di dire: sicuramente non posso dare ciò che potrei con la mano sana, ma si vede che faceva parte del mio cammino. E ha dato i suoi frutti».
Un'immagine dello scudetto rimastati impressa?
«La gioia della squadra, i festeggiamenti, la felicità dei tifosi che ci hanno atteso da Bologna: tutte cose che mi fanno venire ancora i brividi».
Che differenze con il titolo del 1997?
«Questo lo sto vivendo più intensamente, adesso mi reputo molto più trevigiano di allora. Lo sento come uno scudetto per la città, prima era solo da giocatore».
Da allora hai un paio di ristoranti in più...
«Beh, gli anni passano, ed ormai sono diventato uno di voi. Ho scelto Treviso per la vita, ho sposato questa città».
E allora non ti resta che candidarti a sindaco.
«In tal caso dovrei però proporre anche qualche idea, ma forse ci riuscirei: quando mi ci metto, ci riesco».
Sentiamo: cosa cambieresti a Treviso?
«Poche cose: è una città molto bella, vivibilissima, però innanzitutto cambierei l'immagine che il resto d'Italia s'è fatta grazie alla sparate del suo sindaco, che qui possono sembrare folkloristiche ma che, magari, altrove non capiscono. Ad esempio Treviso non è assolutamente città razzista, anzi credo che sia l'unica provincia italiana che chiede manodopera di immigrazione. Poi cambierei la nuova Pescheria, quel verde è un pugno nell'occhio».
Strano, il verde dovrebbe essere un colore a te caro.
«Il verde Benetton, non il verde Pescheria...».
La tua dedica per lo scudetto a chi la fai?
«A tre persone. A mio padre, il mio più grande tifoso, sabato era quasi più contento di me. A Michela, la ragazza che sta cambiando la mia vita: è il motivo principale perché Treviso diventerà la mia città. E se permettete a me stesso, perché con la rottura di scatole del braccio, i rospi mandati giù e tutti gli anni di carriera, credo di meritarmelo».
Skipper e Kinder hanno un budget doppio, ma voi le avete battute 12 volte su 15: qualche conto non torna...
«E' la dimostrazione che i signori Buzzavo, Gherardini e Benetton non sono certo degli sprovveduti: hanno costruito un grande gruppo ed una grandissima realtà sportiva. Tanto di cappello, è uno scudetto nato in ufficio ed in palestra».
Invece a Bologna si è aperta la caccia agli arbitri.
«I soliti imbecilli, sappiano che avranno anche interrotto la partita e la festa, ma non la gioia per il nostro scudetto. La figura dei cretini davanti all'Italia l'hanno fatta loro».
Ricky, faremo la fine del calcio?
«Sinceramente non sarei così preoccupato, quello credo resti un episodio isolato. Mi piace ricordare, invece, garaquattro di semifinale, quando a Casalecchio siamo rientrati negli spogliatoi sotto gli applausi. Ma, se venissero eliminate certe esagerazioni, sarebbe molto meglio per tutti».
Non è che puoi mettere una buona parola con D'Antoni?
«Se ha preso questa decisione significa che ha i suoi buoni motivi, soprattutto dopo aver firmato un contratto lungo. Ci sentiremo un po' più soli, ma non si vive di soli ricordi, anche perché questa Benetton può vincere comunque».
Le ultime righe le puoi sfruttare come meglio ti aggrada.
«Allora ringrazio di cuore chi lavora dietro le quinte: Cirelli si fa un mazzo così per esaudire le nostre richieste, Antenucci, Cuzzolin, lo staff medico, Franco De Pieri, la persona più buona della terra. E poi i tifosi: quest'anno sono stati a dir poco incredibili, anzi commoventi».
Silvano Focarelli
Dì la verità: hai fatto un patto col diavolo.
«Direi che è lui ad averlo fatto con me... No, il segreto è solo la grande voglia che hai dentro e che non ti fa sentire la stanchezza. La carta d'identità conta fino ad un certo punto, per me è soprattutto questione di testa. E poi c'entra anche la fortuna, quella di aver sempre trovato delle squadre competitive e di non aver subìto infortuni gravi».
Però hai dovuto diventare mancino per continuare a tirare.
«Quella è stata una sfortuna per modo di dire: sicuramente non posso dare ciò che potrei con la mano sana, ma si vede che faceva parte del mio cammino. E ha dato i suoi frutti».
Un'immagine dello scudetto rimastati impressa?
«La gioia della squadra, i festeggiamenti, la felicità dei tifosi che ci hanno atteso da Bologna: tutte cose che mi fanno venire ancora i brividi».
Che differenze con il titolo del 1997?
«Questo lo sto vivendo più intensamente, adesso mi reputo molto più trevigiano di allora. Lo sento come uno scudetto per la città, prima era solo da giocatore».
Da allora hai un paio di ristoranti in più...
«Beh, gli anni passano, ed ormai sono diventato uno di voi. Ho scelto Treviso per la vita, ho sposato questa città».
E allora non ti resta che candidarti a sindaco.
«In tal caso dovrei però proporre anche qualche idea, ma forse ci riuscirei: quando mi ci metto, ci riesco».
Sentiamo: cosa cambieresti a Treviso?
«Poche cose: è una città molto bella, vivibilissima, però innanzitutto cambierei l'immagine che il resto d'Italia s'è fatta grazie alla sparate del suo sindaco, che qui possono sembrare folkloristiche ma che, magari, altrove non capiscono. Ad esempio Treviso non è assolutamente città razzista, anzi credo che sia l'unica provincia italiana che chiede manodopera di immigrazione. Poi cambierei la nuova Pescheria, quel verde è un pugno nell'occhio».
Strano, il verde dovrebbe essere un colore a te caro.
«Il verde Benetton, non il verde Pescheria...».
La tua dedica per lo scudetto a chi la fai?
«A tre persone. A mio padre, il mio più grande tifoso, sabato era quasi più contento di me. A Michela, la ragazza che sta cambiando la mia vita: è il motivo principale perché Treviso diventerà la mia città. E se permettete a me stesso, perché con la rottura di scatole del braccio, i rospi mandati giù e tutti gli anni di carriera, credo di meritarmelo».
Skipper e Kinder hanno un budget doppio, ma voi le avete battute 12 volte su 15: qualche conto non torna...
«E' la dimostrazione che i signori Buzzavo, Gherardini e Benetton non sono certo degli sprovveduti: hanno costruito un grande gruppo ed una grandissima realtà sportiva. Tanto di cappello, è uno scudetto nato in ufficio ed in palestra».
Invece a Bologna si è aperta la caccia agli arbitri.
«I soliti imbecilli, sappiano che avranno anche interrotto la partita e la festa, ma non la gioia per il nostro scudetto. La figura dei cretini davanti all'Italia l'hanno fatta loro».
Ricky, faremo la fine del calcio?
«Sinceramente non sarei così preoccupato, quello credo resti un episodio isolato. Mi piace ricordare, invece, garaquattro di semifinale, quando a Casalecchio siamo rientrati negli spogliatoi sotto gli applausi. Ma, se venissero eliminate certe esagerazioni, sarebbe molto meglio per tutti».
Non è che puoi mettere una buona parola con D'Antoni?
«Se ha preso questa decisione significa che ha i suoi buoni motivi, soprattutto dopo aver firmato un contratto lungo. Ci sentiremo un po' più soli, ma non si vive di soli ricordi, anche perché questa Benetton può vincere comunque».
Le ultime righe le puoi sfruttare come meglio ti aggrada.
«Allora ringrazio di cuore chi lavora dietro le quinte: Cirelli si fa un mazzo così per esaudire le nostre richieste, Antenucci, Cuzzolin, lo staff medico, Franco De Pieri, la persona più buona della terra. E poi i tifosi: quest'anno sono stati a dir poco incredibili, anzi commoventi».
Silvano Focarelli