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Good bye, Mike, ritorna presto

Il coach lascia la Benetton per i Suns: «Treviso è troppo distante da Mullens»

Adesso glielo possiamo proprio dire: good bye, Mike. D'Antoni da ieri per la seconda volta è un ex coach della Benetton. Nel 1997 impiegò 2 anni prima di cedere alle sirene della Nba, stavolta ci ha messo 12 mesi per arrendersi non alle proprie ambizioni (anche se tornerà fra i pro) ma ad una scelta di vita, autentica e non di comodo: stare accanto al padre malato. E' prevalso il senso tutto italiano della famiglia.
Lui, però, è americano dalla testa ai pedi. «Del resto, uno che beve il cappuccino alla sera e parla come Dan Peterson come fa a non essere americano? Però mi sento anche italiano, perché quando sono qui vorrei essere in America, e viceversa...», prova a scherzare Michelino per darsi un tono. Difficile accettare che se ne vada. Per noi che abbiamo ammirato la sua Benetton, e per lui che a Treviso stava meravigliosamente bene. «In verità mi sento in colpa: non pensate che sia senza un cuore, capisco bene ciò che sto lasciando ma nella vita bisogna prendere anche delle decisioni difficili. Io non pretendo di sapere sempre quello che è giusto, però faccio ciò che mi dice il cuore».
Quando è maturata la scelta? «A gennaio, gli ultimi mesi sono stati veramente difficili. Sabato torno a Mullens, poi deciderò per chi firmare, credo i Suns. Nel frattempo andrò a New York per i draft, ad osservare Nachbar e Tskitishvili». Sei l'unico allenatore che, vinti due scudetti in due stagioni, decide di mollare tutto... «E' il problema degli americani, solo Dan Peterson è stato qui per il resto della vita. Se fossi italiano ed avessi i parenti a Brescia, no problem, ma Mullens è un po' lontano da Treviso. Mi dispiace tantissimo lasciarvi, però questa è la vita». Trasforma lo scudetto in un film e ripensa a qualche fotogramma. «Un film giallo. Tornato qui dopo quattro anni, mi accorsi che erano mutate parecchie cose, soprattutto sul numero di stranieri e di extracomunitari, conoscevo solo Marconato, Pittis e Bulleri. La Supercoppa mi fece capire che avevo una buonissima squadra, fortissima in attacco: il problema era la difesa. Poi, piano piano, siamo cresciuti anche lì, ed ho trovato giocatori dal grande cuore, perché all'inizio abbiamo vinto tanto grazie al carattere più che al gioco. Abbiamo avuto un momento di crisi in inverno e poi in Coppa Italia, ma l'arrivo di Bell e l'esplosione di Bulleri hanno risolto tutto. Ed alla fine siamo diventati la migliore squadra d'Europa. Bulleri è stato un grande merito di Pasquali per i fondamentali e di Cuzzolin sul lato fisico: tutta la squadra è andata in forma al momento giusto: credo molto nei giocatori, ho fiducia nelle loro qualità, e loro credono in me: questa sintonia è stata la cosa più importante». Hai trapiantato il basket Nba a Treviso. «Io ho cercato sempre di giocare così, anche quando allenavo a Denver: tanti tiri da tre, un quattro che gioca da fuori. Grande merito di Gherardini di aver costruito questa squadra, ma senza tutti gli altri io non avrei vinto nulla». Un consiglio al tuo erede? «Avere fiducia in questi ragazzi». Messina, però, la pensa diversamente da te... «Ma lui, se verrà, non dovrà cambiare niente». Chi ringrazi? «Tutti, a cominciare dal signor Benetton, Gherardini, la squadra». Ed il piccolo Michael? «A lui basta che abbia da mangiare». E tua moglie Laurel? «L'altra sera alla cena d'addio piangeva. Quasi non mi parla più: è il quarto trasloco in quattro anni...».
Cadetti. I ragazzi della Benetton sono eliminati dalle finali nazionali di Porto San Giorgio. Ieri sono stati sconfitti dalla Scavolini per 86-72.
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