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Milano, Corbelli parla della nuova avventura

«Voglio togliere il basket dalla crisi, però non pagherò il conto per tutti»

Giorgio Corbelli, allora lei è diventato il sesto proprietario nella storia dell’ Olimpia. «Io e Sergio Tacchini ci siamo stretti la mano: l’operazione si fa. Ora tocca ai professionisti sistemare i dettagli».
Che cosa le piace e che cosa invece la preoccupa, della nuova avventura?
«Mi stimola l’idea di diventare colui che toglie il basket di Milano per sempre dalla crisi. Dopo 12 anni di milizia nella pallacanestro, è un’occasione unica. E coincide, oltretutto, con i miei interessi di lavoro, sempre più milanesi. Che cosa invece temo? Tutto e nulla, perché quanto eredito appartiene al senso della sfida che accetto: ripartiamo da un brutto risultato e dalla necessità di riconquistare la città».
Si aspetta che gli enti pubblici le diano una mano?
«Me lo auguro. L’addio di Tacchini prova che un imprenditore non può proseguire, se resta solo. Milano rifletta sulle fughe di questi ultimi anni...».
È stato il punto critico di tante altre storie finite male.
«Senza allarmismi e sottovoce, dico: mi faccio carico del salvataggio dell’Olimpia, ma non passerò per il ricco scemo che paga i conti per tutti. Se rimarrò solo, la squadra non potrà mai essere d’alto profilo. In una metropoli, poi, è ancora più difficile essere imprenditori nello sport».
Scottato forse da Roma?
«No, tutt’altro: ho un buon ricordo degli anni romani. Ho fatto cose discrete, la fortuna non mi ha aiutato quando ho tentato con una squadra ultracompetitiva. Ecco, non sono mai arrivato a lottare per gli scudetti, nel basket, dopo che ne ho vinti nel baseball e nella pallanuoto: a Milano chiedo di colmare la lacuna. Nel tempo, intendo: non bisognerà avere la frenesia del vertice, ma la costanza di inseguirlo con programmi logici».
Quando era a Forlì, difendeva le ragioni dei «peones», cioè i piccoli club. Come la mettiamo, ora?
«Come ogni impresario, difendo gli interessi del momento. Quando ero a Forlì, non immaginavo che sarei sbarcato a Milano. Ma quelle battaglie le rifarei, anche perché, sapendo come si sta dall’altra parte della barricata, ho la piena conoscenza di questo mondo».
Dove ha sbagliato il basket italiano, se perfino Milano ha rischiato di sparire?
«L’errore centrale è stato puntare sulla legge 91 e sul professionismo, senza capire che il 40% del budget, a differenza di quanto capita all’estero, te lo soffia lo Stato. Il quale, ti strozza».
Milano di nuovo forte anche sul piano ‘‘politico’’?
«Ho sempre sentito dire che nel basket non si prescinde da una Milano e da una Roma forti. Demagogia: non si è fatto nulla per averle ad alto livello. Ora sì, desidero un’Olimpia che torni locomotiva del movimento».
Ha lasciato il Napoli Calcio: deluso o comunque, in qualche modo, soddisfatto?
«Deluso. Credevo in un Napoli di nuovo in A, solido e quotato in Borsa. Progetto fallito. Ma sono sereno: ho ceduto alle mie condizioni e me ne sono andato in piedi, dopo il caos legato alle vicende giudiziarie che mi hanno coinvolto».
Un k.o. bruciante, però...
«Un imprenditore è avveduto anche quando capisce che è il momento di ingranare la retromarcia».
Quale l’errore più grave, a Napoli?
«Tanti, in un viaggio però duro. Certo, ho avuto anche prove di affetto ed è nell’ordine delle cose che, senza i risultati, siano additati i dirigenti. Io il ‘‘male’’ di Napoli? Non a questo punto. Per la città, tuttavia, sono rimasto l’invasore venuto dal Nord: lo prova l’enfasi con la quale si sottolinea che il club ora è tornato in mani partenopee».
Il rapporto con Ferlaino...
«Difficile, ma lo si sapeva. La separazione era scontata, però è giunta tardi, per stanchezza e non per scelta. Nel frattempo, sono stati esauriti viveri e munizioni».
Napoli, sempre troppo innamorata di Maradona.
«Ma no... Semplicemente patita di calcio, se il calcio tira. Quando eravamo ancora in corsa per la A, in due partite abbiamo avuto 130 mila persone in totale. Incredibile. Rivincerà mai lo scudetto? Napoli riavrà la serie A e tornerà tra le prime 7-8 squadre, ma il ‘‘gap’’ con il vertice rimarrà abissale».
La sua vicenda personale, ora: le accuse, gli arresti. Non teme che siano un pregiudizio, su di lei?
«Il Gip stesso ha poi revocato il provvedimento a mio carico. Era un’ingiustizia. È stato un episodio indelebile, che però ora scatena la mia indole positiva e ottimista».
Abituato a convivere con le maldicenze?
«È uno sport tipicamente italiano. Da noi, non si accetta chi ha successo. Nel 1999, quando ho avuto la concessione nazionale per Telemarket, la mia vita è cambiata: qualcuno non me l’ha perdonato. Però sono un tenace e non mollo mai».
Meglio il Corbelli imprenditore o il Corbelli imprenditore nel basket?
«L’imprenditore ha vinto già i suoi scudetti. Però anche il ‘‘cestista’’ qualcosa ha fatto...».
Tante bandiere, nella sua vita. Ma ce n’è una più cara?
«Quella del baseball Rimini, il mio punto d’inizio».
Ha stimato quanti soldi ha speso nello sport?
«È un conto da non fare. Primo perché smetterei, secondo perché nella vita si deve guardare al calcolo complessivo, non alla singola operazione. A 20 anni ero un appassionato e basta. Oggi, a 47, il bilancio è positivo. Grazie anche allo sport».
Flavio Vanetti
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