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L'addio di Tacchini

Si conclude dopo due stagioni l'avventura dell'imprenditore a Milano

Una meteora. Durata poco più dell'avventura di qualche califfo americano venuto a guadagnarsi la pagnotta sui parquet europei, finisce la favola cestistica di Sergio Tacchini, il presidente della speranza, quello che a tutti, dopo il ciclone Bryant e la sanguigna passione di Caputo, sembrava l'uomo della provvidenza. Tacchini è stato l'uomo giusto nel posto sbagliato. La sua passione per lo sport, la sua convinzione in certi valori, il suo desiderio di fare sono stati frustrati da chi gli è stato attorno. Quante volte ai microfoni ha dichiarato: «Io di basket capisco poco». E per questo ha dato carta bianca, dal punto di vista tecnico e gestionale, a collaboratori che lo hanno lasciato con un pugno di mosche facendogli perdere l'amore per il basket che in lui stava nascendo. Quali sono stati i suoi errori? Solo uno: non accorgersi prima di quello che stava succedendo. Quando lo ha fatto era troppo tardi e la spirale negativa lo aveva già allontanato da un pezzo da via Caltanissetta. Peccato. L'Olimpia trova un nuovo proprietario ma perde un vero gentleman, che a Milano ha avuto il solo difetto di esserlo stato un po' troppo.
M.T.
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