Fadini, qual è il suo commento sulla morte della Scaligera Basket? «Incredibile, ma vero: è finita un’era. Sino a due anni fa, eravamo una società modello, presente persino nella classifica Fiba europea, dopo 15 anni di presenza stabile in A e in Europa e 15 anni di trofei: tutto spazzato via in 15 mesi».
Come è potuto accadere? «La cosa incredibile è che la Scaligera non è morta perchè cancellata da una mera mancanza di denaro, dal miliardo o miliardo e mezzo del debito sportivo».
Da cosa, scusi? «Non crederete mica alle storie che vi raccontano?».
Ci racconti la sua, allora «In realtà, le vicende degli ultimi sei-otto mesi sono fatte solo di manie di protagonismo, di gelosie, invidie, sovrapposizioni inutili, incompetenze, cambi di bandiera e di zero esperienza nel settore. Il "problema quattrini" o partecipazione alle aste o tutto questo era assolutamente relativo di fronte al non rispetto di regolamenti che la Lega aveva deciso di imporre a tutti i club con grande rigore. Ma solo a Verona si era sottovalutato questo aspetto».
A cosa si riferisce? «La fine della Scaligera era annunciata sin dal febbraio perchè da lì si sono sbagliate tutte le mosse per contrastare il disegno in atto, presso i vertici di Lega e Federbasket, per diminuire il numero delle squadra e approfittare delle crisi altrui. Eppure tutte queste cose le avevo dichiarate in tempi non sospetti ad un settimanale veronese».
Cosa si sarebbe dovuto fare? «Non era difficile intervenire, e non intendo tanto finanziariamente, quanto politicamente. Con una buona politica di lobby sportiva e con qualche accorgimento tecnico-finanziario si poteva sventare la sparizione: invece, ci si è rinchiusi a riccio dentro la città, illudendosi che mai potesse accadere, così, solo per diritto divino. In realtà, il basket professionistico italiano, così come il calcio, è una vera e propria giungla: appena sei un po’ debole e inesperto, ti mangiano vivo. E così è accaduto».
Se aveva intuito tutto, perchè non è intervenuto? «Sono doppiamente incazzato proprio perchè, di questo, avevo avvertito tutti coloro che mi avevano interpellato in merito: avvocati, commercialisti, giornalisti, protagonisti della vicenda. E nessuno può smentire che avessi previsto le cose con largo anticipo».
Chi subisce il maggiore danno dalla scomparsa della Scaligera? «Le grandi vittime di questa vicenda sono due. Le prime sono i sinceri tifosi del basket e gli innumerevoli praticanti di tutta Verona e provincia». E la seconda? «Che piaccia o no, è Vicenzi con la sua famiglia perchè la Scaligera l’ha creata e cresciuta lui. L’ho visto commuoversi, in febbraio, alla notizia del fallimento; l’ho visto soffrire; l’ho visto inferocito e deluso di fronte ad attacchi subdoli che gli venivano portati. Perchè, diciamoci la verità, da più parti dava fastidio il suo eventuali rientro, il suo possibile ruolo di "salvatore della patria", perchè egli avrebbe fatto piazza pulita di tutti gli opportunisti e voltagabbana che lavoravano dentro la sede e che si agitavano, per un posto al sole, intorno alla squadra. Giuseppe Vicenzi non ha, certo, un caratterino facile. E allora? Chi non ce l’ha? E’ stato ferito nel suo orgoglio e nella professionalità di unico, vero, imprenditore del basket, con tanta esperienza e saggezza».
Ma Giuseppe Vicenzi è immune da errori? «No, anche lui ne ha sicuramente commessi. Più volte ho quasi litigato con lui su questi temi perchè anche lui si faceva irretire da tutte le chiacchiere inutili che si facevano attorno alla Scaligera. Comunque, sono due i principali errori».
Qual è il primo? «Del primo sono assolutamente corresponsabile anch’io: l’aver venduto a Fiorillo perchè la Glaxo doveva, assolutamente, uscire per problemi di management interno e lui era, allora, stanco per tirare avanti la carretta da solo. Tra l’altro, si è trovato anche "cornuto e mazziato" perchè ha pensato di lasciare la società in buone mani, l’ha venduta al massimo dello splendore ed al vertice sportivo (in Eurolega), ma non ha mai visto il becco di un quattrino».
Ed il secondo errore? «Quando Vicenzi si è fatto innervosire e demoralizzare, tra il gennaio e il marzo scorsi, da chi gli metteva i bastoni tra le ruote, da chi non lo teneva nella considerazione dovuta come unica possibile, concreta, soluzione di salvezza, dai nuovi "parvenu", da chi voleva solo farsi pubblicità con la Scaligera».
Erano apparsi, al Palasport, anche cartelli contro lei e Vicenzi «Complimenti a questi tifosi: hanno veramente cavalcato i cavalli giusti... Ogni domenica, al Palaolimpia, venivano esposti, da una esigua minoranza di tifosi due-tre cartelli strumentali, e strumentalizzati, per contestare un eventuale ritorno. I cartelli "Vicenzi-Fadini? No, grazie" hanno ottenuto proprio un bell’epilogo...».
E questo ha inciso sul comportamento di Giuseppe Vicenzi? «Per mesi, si è talmente amareggiato della poca gratitudine e della poca memoria storica, che ha mollato tutto e non si è più interessato di nulla. Non ha ricevuto una telefonata o un’invocazione pubblica. Il curatore gli ha fatto visita e lo ha invitato a prendere in mano la situazione solo all’ultimo momento, quando ha capito che in Fip e in Lega avevano rispetto solo di Vicenzi e attendevano solo lui per modificare qualcosa».
La cordata Bordato si è data da fare: non era possibile mettersi insieme? «Non conosco personalmente Bordato. Credo abbia agito in buona fede, ma certo il modo è stato talmente ingenuo che ha creato solo aspettative inutili. Non si è visto un solo fatto concreto, ma tanti proclami, promesse di pubblic company (incredibile per me), sponsor misteriosi, alleanze inutili. Comunque, forse, si è solo fatto consigliare veramente male».
Si era parlato anche di altre cordate «Sembrava fossero tre-quattro. Sembrava che proprio Vicenzi fosse l’ultima ruota del carro e non servisse più. I rappresentanti della Scaligera lo hanno persino sbandierato in Lega: una era la cordata Bordato, una di imprenditori vicentini, una di S. Bonifacio, un’altra milanese. Chi le ha mai viste?».
La squadra, almeno, ha concluso il campionato con la salvezza «Sì, ma dove sono ora tutti i fenomeni che pontificavano su giornali e televisioni, nei bar alla moda di Verona o dentro il Palasport? Dove sono quelli che promettevano ai giocatori sogni facili dentro lo spogliatoio? Chiedetelo pure ai giocatori. Sono rimasto esterrefatto dalle dichiarazioni a "L’Arena" di Claudio Crippa: ma come si permette lui, ultimo arrivato, di criticare Verona, la città, le forze imprenditoriali, la cultura sportiva? Cosa ne sa lui di questa realtà? In quattordici anni, io non mi sono mai permesso di giudicare o criticare l’imprenditoria o le istituzioni cittadine».
Il curatore ha lavorato molto per un epilogo secondo speranze «Ho avuto modo di parlarci un paio di volte, ma solo nelle ultime settimane. Mi ha telefonato per chiedermi un parere sulla famosa, mancata, richiesta di permanenza e di iscrizione in A1, che scadeva il 10 giugno. E’ inutile girarci intorno: quella lettera, se pure come gesto formale, andava fatta perchè da lì si sarebbero potuti avere 16 giorni di tempo per presentare l’eventuale documentazione necessaria. Andava fatta, anche se, probabilmente, ormai non serviva a nulla. La Fip, infatti, mai avrebbe dato il titolo sportivo senza il placet della Lega».
La curatela sostiene l’impossibilità di scriverla «Non è vero perchè era un atto esattamente come quello di finire il campionato in esercizio provvisorio o come quello di rappresentare e votare in assemblea di Lega Uno».
Sarebbe stato, insomma, commesso un errore? «Parlando con Mino Castellani, ho capito che la sua buona volontà e il suo entusiasmo erano tanti, ma non riusciva a sintonizzarsi con la mentalità, certamente atipica, del mondo del basket e della Lega: lì è solo un problema di alleanze politiche e di lavoro dietro le quinte. Le battaglie su codici e codicilli o le argute osservazioni tecnico-professionali servono a poco».
Come si sarebbe dovuto procedere? «Era necessario, intanto, sistemare in corsa il problema del parametro sul minimo degli stipendi non rispettato, come fatto da Roseto, anche se in modo discutibile, e da altri club. Poi andava iniziato un lavoro di sottile diplomazia sportiva per arrivare ad un pronunciamento assembleare in modo da far accettare la situazione a Lega e Fip (ma la Fip non è mai stato un problema). C’era solo una persona, a Verona, a cui nessuno poteva dire di no, per la sua storia e il suo prestigio personale: e questa era Giuseppe Vicenzi, che tra l’altro poteva contare sull’appoggio personale di Gilberto Benetton, Valter Scavolini e della Fortitudo. Però, per fare questo, bisognava che tutte le forze si schierassero intorno a lui e gli venisse affidato, in modo esclusivo, pubblico e ufficiale, e in tempo utile, il compito di salvare il club».
Ma Vicenzi non si è mosso? «Il problema è che, alla fine, ha tentato, ma era già troppo tardi perchè tutte le regole erano già state disattese, quindi il destino era segnato. Vicenzi, infatti, non si è presentato all’asta perchè gli era stato detto a chiare lettere che non gli avrebbero dato il titolo. Inoltre, la grande arma che aveva Verona era quella di non terminare il proprio campionato senza avere delle precise assicurazioni di salvataggio. Se la Müller avesse paventato il ritiro della squadra, la regolarità del campionato sarebbe saltata e, in quel momento, Lega e Fip erano terrorizzate da un’eventuale azione di questo genere».
Renzo Puliero
Come è potuto accadere? «La cosa incredibile è che la Scaligera non è morta perchè cancellata da una mera mancanza di denaro, dal miliardo o miliardo e mezzo del debito sportivo».
Da cosa, scusi? «Non crederete mica alle storie che vi raccontano?».
Ci racconti la sua, allora «In realtà, le vicende degli ultimi sei-otto mesi sono fatte solo di manie di protagonismo, di gelosie, invidie, sovrapposizioni inutili, incompetenze, cambi di bandiera e di zero esperienza nel settore. Il "problema quattrini" o partecipazione alle aste o tutto questo era assolutamente relativo di fronte al non rispetto di regolamenti che la Lega aveva deciso di imporre a tutti i club con grande rigore. Ma solo a Verona si era sottovalutato questo aspetto».
A cosa si riferisce? «La fine della Scaligera era annunciata sin dal febbraio perchè da lì si sono sbagliate tutte le mosse per contrastare il disegno in atto, presso i vertici di Lega e Federbasket, per diminuire il numero delle squadra e approfittare delle crisi altrui. Eppure tutte queste cose le avevo dichiarate in tempi non sospetti ad un settimanale veronese».
Cosa si sarebbe dovuto fare? «Non era difficile intervenire, e non intendo tanto finanziariamente, quanto politicamente. Con una buona politica di lobby sportiva e con qualche accorgimento tecnico-finanziario si poteva sventare la sparizione: invece, ci si è rinchiusi a riccio dentro la città, illudendosi che mai potesse accadere, così, solo per diritto divino. In realtà, il basket professionistico italiano, così come il calcio, è una vera e propria giungla: appena sei un po’ debole e inesperto, ti mangiano vivo. E così è accaduto».
Se aveva intuito tutto, perchè non è intervenuto? «Sono doppiamente incazzato proprio perchè, di questo, avevo avvertito tutti coloro che mi avevano interpellato in merito: avvocati, commercialisti, giornalisti, protagonisti della vicenda. E nessuno può smentire che avessi previsto le cose con largo anticipo».
Chi subisce il maggiore danno dalla scomparsa della Scaligera? «Le grandi vittime di questa vicenda sono due. Le prime sono i sinceri tifosi del basket e gli innumerevoli praticanti di tutta Verona e provincia». E la seconda? «Che piaccia o no, è Vicenzi con la sua famiglia perchè la Scaligera l’ha creata e cresciuta lui. L’ho visto commuoversi, in febbraio, alla notizia del fallimento; l’ho visto soffrire; l’ho visto inferocito e deluso di fronte ad attacchi subdoli che gli venivano portati. Perchè, diciamoci la verità, da più parti dava fastidio il suo eventuali rientro, il suo possibile ruolo di "salvatore della patria", perchè egli avrebbe fatto piazza pulita di tutti gli opportunisti e voltagabbana che lavoravano dentro la sede e che si agitavano, per un posto al sole, intorno alla squadra. Giuseppe Vicenzi non ha, certo, un caratterino facile. E allora? Chi non ce l’ha? E’ stato ferito nel suo orgoglio e nella professionalità di unico, vero, imprenditore del basket, con tanta esperienza e saggezza».
Ma Giuseppe Vicenzi è immune da errori? «No, anche lui ne ha sicuramente commessi. Più volte ho quasi litigato con lui su questi temi perchè anche lui si faceva irretire da tutte le chiacchiere inutili che si facevano attorno alla Scaligera. Comunque, sono due i principali errori».
Qual è il primo? «Del primo sono assolutamente corresponsabile anch’io: l’aver venduto a Fiorillo perchè la Glaxo doveva, assolutamente, uscire per problemi di management interno e lui era, allora, stanco per tirare avanti la carretta da solo. Tra l’altro, si è trovato anche "cornuto e mazziato" perchè ha pensato di lasciare la società in buone mani, l’ha venduta al massimo dello splendore ed al vertice sportivo (in Eurolega), ma non ha mai visto il becco di un quattrino».
Ed il secondo errore? «Quando Vicenzi si è fatto innervosire e demoralizzare, tra il gennaio e il marzo scorsi, da chi gli metteva i bastoni tra le ruote, da chi non lo teneva nella considerazione dovuta come unica possibile, concreta, soluzione di salvezza, dai nuovi "parvenu", da chi voleva solo farsi pubblicità con la Scaligera».
Erano apparsi, al Palasport, anche cartelli contro lei e Vicenzi «Complimenti a questi tifosi: hanno veramente cavalcato i cavalli giusti... Ogni domenica, al Palaolimpia, venivano esposti, da una esigua minoranza di tifosi due-tre cartelli strumentali, e strumentalizzati, per contestare un eventuale ritorno. I cartelli "Vicenzi-Fadini? No, grazie" hanno ottenuto proprio un bell’epilogo...».
E questo ha inciso sul comportamento di Giuseppe Vicenzi? «Per mesi, si è talmente amareggiato della poca gratitudine e della poca memoria storica, che ha mollato tutto e non si è più interessato di nulla. Non ha ricevuto una telefonata o un’invocazione pubblica. Il curatore gli ha fatto visita e lo ha invitato a prendere in mano la situazione solo all’ultimo momento, quando ha capito che in Fip e in Lega avevano rispetto solo di Vicenzi e attendevano solo lui per modificare qualcosa».
La cordata Bordato si è data da fare: non era possibile mettersi insieme? «Non conosco personalmente Bordato. Credo abbia agito in buona fede, ma certo il modo è stato talmente ingenuo che ha creato solo aspettative inutili. Non si è visto un solo fatto concreto, ma tanti proclami, promesse di pubblic company (incredibile per me), sponsor misteriosi, alleanze inutili. Comunque, forse, si è solo fatto consigliare veramente male».
Si era parlato anche di altre cordate «Sembrava fossero tre-quattro. Sembrava che proprio Vicenzi fosse l’ultima ruota del carro e non servisse più. I rappresentanti della Scaligera lo hanno persino sbandierato in Lega: una era la cordata Bordato, una di imprenditori vicentini, una di S. Bonifacio, un’altra milanese. Chi le ha mai viste?».
La squadra, almeno, ha concluso il campionato con la salvezza «Sì, ma dove sono ora tutti i fenomeni che pontificavano su giornali e televisioni, nei bar alla moda di Verona o dentro il Palasport? Dove sono quelli che promettevano ai giocatori sogni facili dentro lo spogliatoio? Chiedetelo pure ai giocatori. Sono rimasto esterrefatto dalle dichiarazioni a "L’Arena" di Claudio Crippa: ma come si permette lui, ultimo arrivato, di criticare Verona, la città, le forze imprenditoriali, la cultura sportiva? Cosa ne sa lui di questa realtà? In quattordici anni, io non mi sono mai permesso di giudicare o criticare l’imprenditoria o le istituzioni cittadine».
Il curatore ha lavorato molto per un epilogo secondo speranze «Ho avuto modo di parlarci un paio di volte, ma solo nelle ultime settimane. Mi ha telefonato per chiedermi un parere sulla famosa, mancata, richiesta di permanenza e di iscrizione in A1, che scadeva il 10 giugno. E’ inutile girarci intorno: quella lettera, se pure come gesto formale, andava fatta perchè da lì si sarebbero potuti avere 16 giorni di tempo per presentare l’eventuale documentazione necessaria. Andava fatta, anche se, probabilmente, ormai non serviva a nulla. La Fip, infatti, mai avrebbe dato il titolo sportivo senza il placet della Lega».
La curatela sostiene l’impossibilità di scriverla «Non è vero perchè era un atto esattamente come quello di finire il campionato in esercizio provvisorio o come quello di rappresentare e votare in assemblea di Lega Uno».
Sarebbe stato, insomma, commesso un errore? «Parlando con Mino Castellani, ho capito che la sua buona volontà e il suo entusiasmo erano tanti, ma non riusciva a sintonizzarsi con la mentalità, certamente atipica, del mondo del basket e della Lega: lì è solo un problema di alleanze politiche e di lavoro dietro le quinte. Le battaglie su codici e codicilli o le argute osservazioni tecnico-professionali servono a poco».
Come si sarebbe dovuto procedere? «Era necessario, intanto, sistemare in corsa il problema del parametro sul minimo degli stipendi non rispettato, come fatto da Roseto, anche se in modo discutibile, e da altri club. Poi andava iniziato un lavoro di sottile diplomazia sportiva per arrivare ad un pronunciamento assembleare in modo da far accettare la situazione a Lega e Fip (ma la Fip non è mai stato un problema). C’era solo una persona, a Verona, a cui nessuno poteva dire di no, per la sua storia e il suo prestigio personale: e questa era Giuseppe Vicenzi, che tra l’altro poteva contare sull’appoggio personale di Gilberto Benetton, Valter Scavolini e della Fortitudo. Però, per fare questo, bisognava che tutte le forze si schierassero intorno a lui e gli venisse affidato, in modo esclusivo, pubblico e ufficiale, e in tempo utile, il compito di salvare il club».
Ma Vicenzi non si è mosso? «Il problema è che, alla fine, ha tentato, ma era già troppo tardi perchè tutte le regole erano già state disattese, quindi il destino era segnato. Vicenzi, infatti, non si è presentato all’asta perchè gli era stato detto a chiare lettere che non gli avrebbero dato il titolo. Inoltre, la grande arma che aveva Verona era quella di non terminare il proprio campionato senza avere delle precise assicurazioni di salvataggio. Se la Müller avesse paventato il ritiro della squadra, la regolarità del campionato sarebbe saltata e, in quel momento, Lega e Fip erano terrorizzate da un’eventuale azione di questo genere».
Renzo Puliero