E’ impossibile parlare di Boris Gorenc senza ricordare la sua corsa per prendere il pallone della finale di Lione, il suo urlo liberatorio nella notte francese, quella sfera arancione stretta sotto al braccio anche nello spogliatoio, mentre tutti baciavano la Saporta. Come dimenticare le scintille nei suoi occhi il giorno che arrivò, in fuga da Imola via Montecatini, perché credeva nella Mens Sana e nel progetto biancoverde? Lo zar sloveno, il guerriero, la base su cui edificare l’armata di Ataman: tutto questo è concentrato nella sua figura con la canotta della Montepaschi. Anche la società sapeva quanto importante fosse l’ex Chicago Bulls quando gli ha fatto firmare, a metà aprile, un contratto triennale. Il destino ci ha però voluto mettere lo zampino: una distorsione, un finale di stagione tra borse del ghiaccio, riposo precauzionale e anti dolorifici, e ora qualche incrinatura. E’ difficile rinunciare a un totem come lui, ma c’è già uno stipendio impegnativo da onorare (quello di Scarone) e delle regole che si sono inasprite sul numero di extracomunitari da schierare e sulle possibilità di tagli e reintegri. Il responso, allora, è in mano alle visite mediche, ma c’è apprensione. Se non dovessero essere soddisfacenti, la dirigenza mensanina potrebbe trovarsi davanti alla scelta più dolorosa e meno prevedibile degli ultimi anni: dividere la propria strada da quella dello zar, l’uomo più amato di viale Sclavo. E non ci riferiamo solo agli spalti...
M.D.
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