Ettore Messina, nuovo allenatore della Benetton campione d’Italia: già nel 1997 sarebbe dovuto finire a Treviso... «È vero. Ci fu un contatto dopo la mia parentesi in nazionale. Anche quella volta Treviso aveva appena vinto, anche quella volta avrei sostituito Mike D’Antoni: scelsi di nuovo la Virtus, cinque anni fa; ma la Benetton era nel mio destino».
Bella sfortuna andare là dove è appena giunto lo scudetto.
«Non sarà facile. Soprattutto per le aspettative che giungono dall’esterno: ci si aspetta che Messina vinca subito. Dall’altro, invece, c’è una proprietà che sa che si può perdere e che l’importante è fare, non strafare».
Però è come acquistare delle azioni al massimo del valore.
«In effetti, il rischio del deprezzamento esiste. Ma ci sono pure margini di crescita, se ci si impegnerà a fondo».
Laureato in economia e commercio a Ca’ Foscari, una gavetta da assistente tra Mestre e Udine: che cosa rimane della sua componente veneta, dopo essere stato adottato da Bologna?
«Mi restano parecchi amici e una parlata alla quale ci sarà da togliere solo un po’ di ruggine. Presto mi dedicherò alle imitazioni di qualche dirigente: sono il mio forte...».
A Treviso sarà l’«ex nemico».
«Dovrò farmi accettare e nulla mi sarà automaticamente dovuto. Mi diano tempo, dirigenti e tifosi: io ricambierò. È importante che capiscano, e me lo spieghino, in che cosa posso essere utile a loro».
Che cosa può scrivere più di quello che ha già scritto, avendo vinto scudetti e coppe?
«L’Ettore Messina di quel periodo non c’è più. Se c’è un aspetto positivo nel mio nuovo corso, è che prima ero con le medaglie appuntate sul petto e così venivo identificato. Ero un generale; oggi sono un caporale che riprende da capo. Obiettivi? Rivincere in Italia e portare Treviso sul tetto d’Europa».
Schiavo del personaggio, a Bologna?
«Più che altro delle vittorie e delle situazioni che si sono create di conseguenza».
In fondo, è la sua prima volta «fuori casa».
«Senz’altro: ho un grande avvenire... dietro le spalle».
Un po’ viziato, dopo gli anni d’oro alla Virtus?
«Non lo escludo. Ma a Treviso rischio di esserlo di più: l’organizzazione, da Nba, e i rapporti con i dirigenti, eccellenti, mi fanno sentire Ettore nel paese delle meraviglie».
Dove le sarebbe piaciuto andare, oltre a Treviso?
«Al di fuori dell’Italia, l’ appeal più forte l’hanno club quali il Real e il Barcellona. In Italia, mi avrebbe incuriosito partecipare al rilancio di Milano: ma forse ora non ci sono né le condizioni per l’Olimpia né per me; lascio la porta aperta per il futuro».
Le hanno attribuito un flirt coi «nemici» della Fortitudo.
«Non ci sono stati contatti ufficiali, ma se i tifosi della Virtus non mi fossero stati così vicini nel famoso giorno del licenziamento, un’eventuale offerta l’avrei valutata. Dopo quel gesto non me la sarei sentita di passare alla Fortitudo».
Treviso: una prima scelta o un ripiego di lusso?
«Non sono stato io a scegliere di lasciare Bologna: sono stato costretto a farlo. Andare a Treviso, invece, è una primissima scelta».
I tifosi di D’Antoni storceranno il naso, ora che arriva un tecnico dalle idee opposte.
«Dicevano di me che avrei potuto allenare solo un Danilovic e non giocatori come Jaric e Ginobili: ho smentito tutti.
Che cosa manterrà dell’impianto di gioco di D’Antoni?
«Non posso pensare di stravolgere tutto. Ad esempio, avendo in regia Edney, devo valorizzare e non castrare la sua vivacità. La Benetton è veloce? Non sarò io quello che la farà andare a due chilometri all’ora. Cercherò piuttosto di dare continuità all’attenzione difensiva che il gruppo ha sfoderato nei playoff: è stata l’arma-scudetto».
La Benetton è stata protagonista delle scelte Nba: Tskitishvili quinto selezionato e Nachbar numero 15.
«Treviso, ormai, nella Nba ha una reputazione pari a quella di Duke e di altre università americane. Dobbiamo confermare la vocazione».
Non è il caso di pensare un po’ anche al prodotto italiano?
«Scusate, dov’è il prodotto italiano?».
Il c.t. Recalcati ha varato un progetto per setacciare l’Italia in lungo e in largo alla caccia di talenti...
«È un progetto difficile ma interessante, con un pregio su tutti: la presenza sul territorio, finalmente, dei tecnici della nazionale».
La verità, nient’altro che la verità su quel fatidico giorno di marzo in cui il presidente della Virtus, Madrigali, la licenziò tra lo sbigottimento di tutti.
«Nemmeno l’ho ancora capita...».
Possibile che non ci sia un sassolino da levare dalla scarpa?
«C’è, eccome se c’è: ma me lo tengo. Anche perché intendo andarmene con stile».
Però quando ritroverà la Virtus da avversaria...
«Succederà il 15 settembre, per la Supercoppa: la data è già cerchiata in rosso. Prevedo almeno due settimane di ritiro ad hoc , anche perché è un trofeo che mi manca».
Madrigali dice di averla rimossa per il bene di Messina: troppo stressato, troppo «preso» dalla necessità di vincere. Andrà a Treviso con i calmanti o, magari, con uno psicologo?
«Non è necessario. A Treviso, l’atmosfera è rilassata».
Flavio Vanetti
Bella sfortuna andare là dove è appena giunto lo scudetto.
«Non sarà facile. Soprattutto per le aspettative che giungono dall’esterno: ci si aspetta che Messina vinca subito. Dall’altro, invece, c’è una proprietà che sa che si può perdere e che l’importante è fare, non strafare».
Però è come acquistare delle azioni al massimo del valore.
«In effetti, il rischio del deprezzamento esiste. Ma ci sono pure margini di crescita, se ci si impegnerà a fondo».
Laureato in economia e commercio a Ca’ Foscari, una gavetta da assistente tra Mestre e Udine: che cosa rimane della sua componente veneta, dopo essere stato adottato da Bologna?
«Mi restano parecchi amici e una parlata alla quale ci sarà da togliere solo un po’ di ruggine. Presto mi dedicherò alle imitazioni di qualche dirigente: sono il mio forte...».
A Treviso sarà l’«ex nemico».
«Dovrò farmi accettare e nulla mi sarà automaticamente dovuto. Mi diano tempo, dirigenti e tifosi: io ricambierò. È importante che capiscano, e me lo spieghino, in che cosa posso essere utile a loro».
Che cosa può scrivere più di quello che ha già scritto, avendo vinto scudetti e coppe?
«L’Ettore Messina di quel periodo non c’è più. Se c’è un aspetto positivo nel mio nuovo corso, è che prima ero con le medaglie appuntate sul petto e così venivo identificato. Ero un generale; oggi sono un caporale che riprende da capo. Obiettivi? Rivincere in Italia e portare Treviso sul tetto d’Europa».
Schiavo del personaggio, a Bologna?
«Più che altro delle vittorie e delle situazioni che si sono create di conseguenza».
In fondo, è la sua prima volta «fuori casa».
«Senz’altro: ho un grande avvenire... dietro le spalle».
Un po’ viziato, dopo gli anni d’oro alla Virtus?
«Non lo escludo. Ma a Treviso rischio di esserlo di più: l’organizzazione, da Nba, e i rapporti con i dirigenti, eccellenti, mi fanno sentire Ettore nel paese delle meraviglie».
Dove le sarebbe piaciuto andare, oltre a Treviso?
«Al di fuori dell’Italia, l’ appeal più forte l’hanno club quali il Real e il Barcellona. In Italia, mi avrebbe incuriosito partecipare al rilancio di Milano: ma forse ora non ci sono né le condizioni per l’Olimpia né per me; lascio la porta aperta per il futuro».
Le hanno attribuito un flirt coi «nemici» della Fortitudo.
«Non ci sono stati contatti ufficiali, ma se i tifosi della Virtus non mi fossero stati così vicini nel famoso giorno del licenziamento, un’eventuale offerta l’avrei valutata. Dopo quel gesto non me la sarei sentita di passare alla Fortitudo».
Treviso: una prima scelta o un ripiego di lusso?
«Non sono stato io a scegliere di lasciare Bologna: sono stato costretto a farlo. Andare a Treviso, invece, è una primissima scelta».
I tifosi di D’Antoni storceranno il naso, ora che arriva un tecnico dalle idee opposte.
«Dicevano di me che avrei potuto allenare solo un Danilovic e non giocatori come Jaric e Ginobili: ho smentito tutti.
Che cosa manterrà dell’impianto di gioco di D’Antoni?
«Non posso pensare di stravolgere tutto. Ad esempio, avendo in regia Edney, devo valorizzare e non castrare la sua vivacità. La Benetton è veloce? Non sarò io quello che la farà andare a due chilometri all’ora. Cercherò piuttosto di dare continuità all’attenzione difensiva che il gruppo ha sfoderato nei playoff: è stata l’arma-scudetto».
La Benetton è stata protagonista delle scelte Nba: Tskitishvili quinto selezionato e Nachbar numero 15.
«Treviso, ormai, nella Nba ha una reputazione pari a quella di Duke e di altre università americane. Dobbiamo confermare la vocazione».
Non è il caso di pensare un po’ anche al prodotto italiano?
«Scusate, dov’è il prodotto italiano?».
Il c.t. Recalcati ha varato un progetto per setacciare l’Italia in lungo e in largo alla caccia di talenti...
«È un progetto difficile ma interessante, con un pregio su tutti: la presenza sul territorio, finalmente, dei tecnici della nazionale».
La verità, nient’altro che la verità su quel fatidico giorno di marzo in cui il presidente della Virtus, Madrigali, la licenziò tra lo sbigottimento di tutti.
«Nemmeno l’ho ancora capita...».
Possibile che non ci sia un sassolino da levare dalla scarpa?
«C’è, eccome se c’è: ma me lo tengo. Anche perché intendo andarmene con stile».
Però quando ritroverà la Virtus da avversaria...
«Succederà il 15 settembre, per la Supercoppa: la data è già cerchiata in rosso. Prevedo almeno due settimane di ritiro ad hoc , anche perché è un trofeo che mi manca».
Madrigali dice di averla rimossa per il bene di Messina: troppo stressato, troppo «preso» dalla necessità di vincere. Andrà a Treviso con i calmanti o, magari, con uno psicologo?
«Non è necessario. A Treviso, l’atmosfera è rilassata».
Flavio Vanetti