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Tanjevic abbraccia la Virtus

"Mai in un club così forte"

«Io vengo dalla Francia, là tutti si danno sempre la mano, è una bella abitudine, vero?», dice Boscia Tanjevic entrando negli uffici della Virtus all´Arcoveggio, sorridente e abbronzatissimo, cordialmente proteso verso tutti. Sembra uscito da un film di Kusturica, con quella camicia bianca sui pantaloni rossi e il giubbotto blu (in fondo deve diventare la nuova bandiera, no?), più il massiccio anello che gli cinge il mignolo. Lo precede Dado Lombardi - completo blu da matrimonio, sguardo e tono della voce da anniversario -, che presentando Boscia parla tre minuti e usa venti volte l´aggettivo "grandissimo". Grandissimo l´allenatore che c´era e non c´è più (e anche il dirigente ex giocatore), grandissimo l´allenatore che c´è, grandissimo il presidente, grandissimi i giocatori che sono andati via, grandissimi quelli che verranno. Di piccolino, insomma, c´è solo questo ufficio adattato a sala stampa, che ospita l´atto di fondazione della nuova Virtus, col ghigno furbo di Tanjevic dietro la scrivania e le sue prime parole bianconere.
«Qui il compitino non è proprio facile facile, me ne rendo conto, perché si tratta di continuare a vincere. Ma se fosse stato facile, non avrebbero chiamato un tipo tosto come me. Perché io un po´ tosto credo di esserlo davvero, dopo tanti anni e tante esperienze. Ma questa è una prima volta anche per me, mai mi era capitato di dirigere un club così forte, con tanta storia alle spalle. Ho vinto anch´io, ma sempre partendo da posizioni di maggiore debolezza. Questa volta parto in prima fila, ed è una bella, grande, soddisfazione. Oltre a vincere vorrei anche restare, però, non come mi è successo altre volte, di vincere e poi dover andare via. Una moda che hanno inventato quelli della Stefanel, e proseguito al Villeurbanne…».
Il suo non facile compitino, ma lui lo sa meglio di noi, sarà reso perfino più difficile dal clima di scollamento che vige al momento tra pubblico e società. «Io ho bisogno del pubblico, senza il loro appoggio non potrà mai essere la stessa cosa. Ho sempre visto il pubblico virtussino capire di basket e stare al fianco della squadra, quindi non vedo perché dovrebbe cambiare da quest´anno. Se poi serve che scarichino rabbia o delusione su di me, va benissimo, prendo tutto. Del resto non sono mai partito col pubblico al mio fianco, o quasi mai. Poi, quando andavo via, li avevo tutti con me».
Ma come sarà la Virtus di Tanjevic? Che giocatori vorrebbe, con quale fiocco li terrà insieme dopo gli anni delle torride difese a cui tutti si aggrappavano quando c´era da vincere? «Io voglio buoni atleti, disponibili e di talento, e ne arriveranno ancora sei o sette. La difesa? Ma anche a me piace molto difendere, sapete? Anzi, credo che ai giocatori vada insegnato proprio quel gusto, che tanti pensano solo sia fatica. Però so anche che se difendi, difendi, difendi e poi non fai mai canestro, vinci poco».
Due parole sull´amato allievo Boniciolli («ha fatto un grandissimo risultato, è giusto e logico che sia rimasto»), altre due ancora su se stesso: «Non ho chiesto garanzie quando mi ha chiamato la Virtus, alla Virtus si viene e basta. Però so già che questo sarà il club più forte che mi è mai capitato di allenare».
«Fatemi dire ancora solo due parole - ha poi chiosato il Dadissimo Lombardi, mentre Boscia fuggiva in spasmodica cerca del suo sigaro -: ho letto e sentito tante cose, ma io che sono legato profondamente alla Virtus, avendoci giocato posso dire da protagonista, su una cosa posso rassicurare tutti i virtussini: non tradiremo 130 anni di storia, anzi li onoreremo al meglio. Quindi partiremo per vincere tutto, come ci hanno insegnato i nostri predecessori». Tutto non sarà necessario, qualcosa forse sì.
Walter Fuochi
Fonte: La Repubblica
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