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Ginobili, quel talento mai sprecato

´argentino nella storia del club, anche per serietà

AUTUNNO 2000, palasport olimpico di Atene, esterno notte. La Virtus ha appena perso con l´Aek: 78-77, sbagliando il gol-partita con Rigaudeau. In due o tre, a taccuini chiusi, si prova a dire a Messina che non è poi andata male, che in casa quel –1 si ribalterà eccetera, quando i conforti finiscono inceneriti da uno dei suoi sguardi peggiori. «Andata bene 'ste palle. Qui, se alla prima partita vera il nostro centravanti fa un punto e non ci capisce niente, c´è poco da ballare. E´ andata malissimo, altrochè». Dopo cena, il cupo dibattito s´ampliò all´ultimo tiro: chi lo farà, se Sasha non c´è più, Rigaudeau li sbaglia, Ginobili non fa neppure il primo? Allegria. Manu non giocò più tante altre partite come quella. Ne fece anzi di magnifiche, azzeccò pure gli ultimi tiri e condusse la Virtus al trionfo, nella coppa nata così male. Diceva ieri che quell´Eurolega resterà il suo ricordo più caro dei due anni bianconeri. Forse rammentava anche lui quel punticino misero e fortunato. «Su ogni gradino più alto – disse un Ettore più disteso -, Manu inciampava una volta sola. Ricordo il primo derby, la prima finale col Tau. Partitine. Ma subito dopo: partitone». Ginobili è uno di quelli destinati a rimanere nella storia d´un club e nella memoria collettiva dei suoi tifosi. Venne per tappare un buco, si sa: la Virtus voleva Meneghin. Se ne va dopo aver fatto bene tutto. I tiri e le schiacciate, i recuperi e le stoppate, lo spettacolo e il sugo; e pure, fuori campo, le interviste, gli autografi, i sorrisi. Così, l´ha amato la gente virtussina e l´hanno rispettato gli altri pubblici, pure i più ostili: nella sua sorridente leggerezza c´è stato sempre quel tributo allo spettacolo, alla festa, alla gioia, che dovrebbe figurare nel prezzo del biglietto. Nel paese del «devi morire», a lui tutti auguravano, dopo l´ennesimo sfracellamento al suolo, da cartone animato, di rialzarsi in fretta. Lo spettacolo poteva continuare e pazienza se a goderselo era soprattutto una sponda. Che, infine, non se l´è perso neppure per una partita. Sarà fortuna, sarà il dono di madre natura, ma ai doni si deve rispetto e anche questo è stato Ginobili: uno che, potendo vivere di prepotenza e di talento, ha invece vissuto di serietà e di lavoro.
(w.f.)
Fonte: La Repubblica
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