Va a finire che anche per quest´anno gli italiani e l´Nba, il magico mondo dei professionisti americani di basket, non si incontreranno. Dodici mesi fa ci aveva provato Gianmarco Pozzecco a sbancare una delle tante Summer League in cui vengono testati giocatori di ogni tipo, americani e no. All´epoca, la «Mosca Atomica» aveva vestito la maglia di Toronto: il contratto non era arrivato, ma la sua onesta figura il piccolo play che radio mercato dà oggi vicino alla Skipper Bologna l´aveva fatta. Qualche giorno fa Andrea Meneghin, 28enne figlio del grande Dino, ha giocato le sue carte con la maglia di Phoenix: non è andato male, Andrea, considerato che è sbarcato negli States dopo un mese di bagni in Sardegna. Tuttavia la squadra Usa, per problemi di organico, non potrà offrirgli un futuro. Insomma, è stata una vetrina nella quale mettere in mostra la propria argenteria, sperando che qualche amatore si sia innamorato del genere. Al momento, però, le ipotesi di mercato più accreditate danno Meneghin, "divorziato" dalla Skipper, di rientro a Varese (squadra con la quale ha vinto lo scudetto nel ´99) o in approdo ai cugini della Virtus. E anche Gregor Fucka, l´altro italiano che sembra sempre vicino a sbarcare oltreoceano ma che poi non trova mai l´occasione giusta per farlo, dovrà probabilmente rinunciare al sogno Usa (Indiana) e «accontentarsi» del Barcellona o del Tau Vitoria. Vietato quindi farsi troppe illusioni: il salto nel mondo dorato dei professionisti americani è ancora lontano e, con quella realtà, gli italiani non hanno mai avuto grande feeling. Gli unici a aver toccato con mano cosa significhi la pallacanestro a stelle e strisce sono stati infatti Enzo Esposito e Stefano Rusconi nel 1995-96. Il primo, casertano emigrato a Toronto, chiuse la stagione con quasi 4 punti di media, poi tornò a mangiare pastasciutta a Pesaro. Rusconi fece peggio e, dopo un paio di mesi a Phoenix, rientrò a Treviso in fretta e furia senza che nessuno lo rimpiangesse. Prima e dopo di loro, il nulla: non la generazione di Meneghin padre (ai tempi c´era ancora la distinzione tra prof e dilettanti), non Myers, penalizzato da un´evoluzione tecnica incompleta. Meneghin junior, allora, oppure Fucka, un piccolo e un lungo che con l´Italia hanno vinto anche l´Europeo del `99. Storie e percorsi diversi, i loro: il primo cresciuto nel mito del padre, svezzato a Varese e cresciuto in un ambiente familiare. Il secondo, anima lunga 215 cm, emigrato in Italia dalla natia Slovenia al traino di Boscia Tanjevic: forse un po´ leggero fisicamente per reggere l´urto con i pachidermi americani ma uno che, superati i 30 anni e con due scudetti in tasca vinti a Milano e Bologna, avrebbe l´obbligo morale di provare a «emigrare» in Nord America anche a dispetto di un ingaggio inferiore a quello che percepirebbe in Europa. Serve coraggio, ovvio: quello che negli ultimi anni hanno dimostrato di possedere decine di giocatori europei, alcuni dei quali hanno «usato» l´Italia per fare esperienza. Dalla fine del campionato a oggi, quattro dei «nostri» hanno firmato per società Nba: Nachbar (da Treviso a Houston), Tskitishvili (Treviso/Denver), Ginobili (Virtus Bo/San Antonio) e Jaric (Virtus Bo/Clippers). Il tutto, seguendo la strada aperta da Drazen Petrovic nell´89: dominata l´Europa, sbarcò nel mondo Usa e, vinte le diffidenze altrui, venne fermato solo da un tragico incidente stradale nel ´93. Da allora, i vari Divac, Schrempf, Kukoc, Stojakovic, Nowitzki e tanti altri ci hanno provato con ottimi risultati. Gli italiani, no. Le prossime leve non sembrano poi promettere nulla di buono, se è vero che agli Europei Under 20 appena conclusi l´Italia ha ottenuto solo un undicesimo posto che suona a condanna di tutto il movimento. Chissà come sarà rimasto contento il ct azzurro Recalcati.
Domenico Latagliata
Domenico Latagliata
Fonte: La Stampa