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Poz, la pressione mi esalta

Qui i play hanno vita dura

In 150 per il primo giorno dell'Aquila, pur sapendo che Scepanovic e Delfino non sarebbero arrivati. In 150 hanno atteso pazientemente due ore perché volevano vedere soprattutto lui.
Capire se, dopo le parole delle settimane scorse — ma in assenza di una comunicazione ufficiale da parte della società — lui sarebbe stato al suo posto. E lui è arrivato poco dopo il mezzogiorno.
Da una Smart di colore rosso, con i capelli un po' arruffati, è sceso lui, il miglior playmaker d'Europa (Boniciolli dixit), Gianmarco Pozzecco.
Meno spavaldo e guascone del solito (deve ancora prendere le misure della sua nuova città), ma comunque brillante e polemico (a Tanjevic saranno forse fischiate le orecchie).
Accolto scherzosamente da una rappresentanza della Fossa dei Leoni al coro di «Noi vogliamo la Cacciatori». Dopo aver ritirato le scarpe e la borsa con le magliette è iniziato il Gianmarco Pozzecco Show.
«Sono qua e ancora non mi sembra vero — racconta —. Se ne parlava da tanto tempo, non ci credevo più. E invece sono qui. Basile è il nuovo capitano? State scherzando, vero? No? Allora va bene, io vado alla Virtus…».
Frizzi e lazzi che precedono le stilettate lanciate al coach che non lo volle in nazionale. «Cosa volete che dica? Le solite menate. So che qua i play hanno vita difficile e che quelli di Varese sono considerati una sorta di pacco… Cosa sono io? Per ora un pacco postale. Mi ha telefonato anche Recalcati per darmi qualche suggerimento. Forse non ce ne sarà bisogno, perché di là c'è l'uomo nero, quello che fuma il sigaro, che mi sta un po' sui c…».
E' quasi derby. Quelli che lo abbracciano e lo coccolano gli fanno notare che la stracittadina, quella del tifo, l'hanno già vinta loro.
«Come sempre», aggiunge un fossaiolo che dal 1982, giura, non ha saltato nemmeno un raduno della Fortitudo.
Pozzecco arriva a Bologna. E lo fa nel momento in cui la Virtus ingaggia il suo grande nemico (Tanjevic) e il suo più grande amico (Meneghin). Così, dopo aver liquidato con una frase che lascia intuire una certa antipatia epidermica nei confronti di chi non lo volle a Parigi nel 1999, il Poz sposta il mirino sul Menego. «Certe cose che ho detto — insiste — sono state male interpretate. E' venuto fuori quasi che io consideri il Menego un viziato. Ma non è così. Il difetto che gli imputo, forse, è quello di aver considerato Bologna come Varese. Si tratta invece di due realtà profondamente diverse. E come tali dovrebbero essere affrontate».
Non è una questione di pressione, precisa il Poz, ci mancherebbe. «La pressione? Macché… Io non la sento, forse perché in campo sono così poco lucido da non rendermi conto di nulla. O forse è il contrario: la pressione mi esalta. Io, comunque, sono pronto».
Pronto anche per «far pace» con il suo nuovo capitano. Anche perché il Poz, prima di ripartire con la sua Smart, lancia un messaggio inquietante al Baso. «Quando devo venire a casa tua per mangiare? Inutile che tu faccia quell'espressione, Baso. L'ho fatto mettere anche nero su bianco sul contratto. Magari prenderò qualche soldo in meno ma tu, tutti i giorni, devi ospitarmi a casa tua. E fare da mangiare».
Alessandro Gallo
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