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In Danimarca si parla della Scavolini

PESARO – «Salve, sono il padre di Chris Christoffersen! Mio figlio è già arrivato in Italia... Si sta allenando in una località che si chiama Folgeria... Folgaria, non so... Mi ha chiesto di controllare per lui la sua posta elettronica...».
Avevamo provato a contattare via e-mail il “danesone" della Scavolini quando era ancora in Usa e cercava forse di smaltire la delusione per non essere stato pescato al draft Nba (secondo diversi osservatori i pro non si sarebbero lasciati sfuggire questo colosso, oltretutto in piena esplosione tecnica e “mentale", e invece anche lui, come McGhee e Gilbert, è rimasto fuori), ma probabilmente Chris non aveva tempo di mettersi davanti ad un computer.
In effetti il suo sito internet (www.bigchris.dk) è aggiornato solo nella sezione dedicata alla rassegna stampa, alla quale ha provveduto il solerte papà, che gentilmente ci invia una serie di articoli in cui si parla di Chris, di Nba ed anche di... Scavolini.
Peccato che siano tutti in danese, e allora siamo costretti a gettare la spugna. Dev’essere comunque un giornale serio visto il titolo (“Politiken"), e del migliore prospetto nazionale si occupa diffusamente il signor Jens Nielsen, con dovizia di particolari.
Le uniche cose “intuibili", in virtù di una qualche assonanza con la lingua tedesca, sono le seguenti: «Chris continua in Italia la sua promettente carriera... in una squadra reduce da un “rispettabile" sesto posto in campionato... ma le sue chances di giocare nella Nba sono ancora intatte».
E poi qualche frammento dell’intervista al giocatore: «Avevo molte offerte ma quella della Scavolini era la più attraente per me».
Per quanto riguarda invece Richardson, l’ultimo acquisto in casa Vuelle, è interessante citare due cronache tratte dalla stampa americana, emblematiche per capire quanto sia difficile il salto dal college ai pro.
Il primo “ritaglio" è dell’anno scorso, quando uno scatenato Norm “the storm" stabilì contro l’Università del Maine il suo record di segnature (34 punti) trascinando Hofstra alla vittoria dopo un tempo supplementare, nel quale il “nostro" realizzò un determinante 6/6 dalla lunetta.
Dal protagonismo “studentesco", alla... panchina “professionistica". Cosa deve passare per la mente di un giocatore che subisce una così drastica “ridimensionata"? Anche qui c’è un episodio emblematico. E’ il 3 aprile di quest’anno, si gioca a Toronto tra i Raptors e i Bulls di Chicago. Per gli ospiti è una giornata storta. Il vecchio, mitico Charles Oakley si mette a “litigare" col pubblico, che fa “booo" ad ogni suo tiro sbagliato (zero punti in 11 minuti). Il coach guarda smarrito in panchina e indica Norman. «Io?», chiede Richardson quasi incredulo, e schizza con un balzo sulla sedia di cambio.
Quando entra, Oakley sta ancora incitando ironicamente il pubblico, con ampie bracciate, a gridare più forte. Per fortuna però si astiene dal tirare di nuovo e passa a Richardson: sospensione, canestro. «Good, man!», gli urla il veterano, e l’azione dopo gli ridà il pallone: entrata, altro canestro. Adesso Norm comincia a crederci: forse è proprio la sua serata. Alla quinta gara Nba, potrebbe esplodere e conquistarsi lo spazio che sogna...
Così va ancora al tiro: palla sul ferro. Il coach chiama cambio e lo fa riaccomodare in panchina. Senza pietà. Quattro punti, 2/3 al tiro: che altro può fare un “rookie"? Appena 5 minuti di gioco: demoralizzante!
Giancarlo Iacchini
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