Milano - Vent´anni fa il re del Sempione era lui, l´Acciughino di casa Olimpia, che con la maglia di Milano avrebbe conquistato Coppe e scudetti. L´ultimo l´ha vinto a giugno, da capitano della Benetton Treviso, ma a Riccardo Pittis, 34 anni, ogni volta che si parla del playground del Parco si illuminano gli occhi: «Si arrivava alle due - racconta - si andava via alle otto. Così fin quando non ho cominciato a giocare in serie A, verso i 17-18 anni. Sono stati anni bellissimi, ore e ore a sfidarsi, sotto il sole, col freddo, le risse, lo stare insieme. Vietata la zona, si giocava solo uno contro uno. Ai tempi, quello era l´unico playground di Milano».
Inizio anni Ottanta, Pittis cresceva sognando i Meneghin, i D´Antoni, i Villalta: «A portarmi al Sempione per la prima volta è stato mio fratello, più grande di sette anni, giocava anche lui. Io ero un ragazzo che cominciava a frequentare le giovanili. Sulla metà campo destra la squadra degli scarsi, a sinistra quelli forti, chi vince rimane in campo e gli altri fuori ad aspettare il loro turno. Arrivo, "Tu vai di là", e mi mettono subito con quelli più scarsi. Prima partita, e gliele suoniamo, seconda partita e faccio un altro figurone. Alla terza, quelli grandi mi chiamano e mi fanno "Tu stai con noi"».
Sfide di fuoco, per chi le ha vissute, presto la fama del Sempione si sparge in città: «A volte arrivava qualche americano, modelli soprattutto. Facevano gli spacconi, poi gli facevamo assaggiare la legge del Parco, e se ne andavano con le orecchie basse. Ma il mio "nemico" preferito si chiamava Mario Losio, ha smesso presto col basket, adesso fa il produttore con Jovanotti». Nascono leggende metropolitane, come quella che i dirigenti dell´Olimpia vengano al campo a "pizzicare" i loro ragazzi fuori dagli allenamenti: «Sciocchezze, ma è vero che Tony Cappellari ogni tanto veniva a guardare le nostre partite. C´ero io, c´erano i fratelli Anchisi, Morandotti, Pessina, Montecchi, tutta gente che nel basket ha fatto strada».
Non è leggenda, invece, l´incontro tra Pittis e Bettino Craxi, in mezzo al Parco, per salvare il playground da chi lo voleva rimuovere. «Un giorno, mentre stiamo giocando, dai vialetti del Parco passa Craxi, con la moglie e gli agenti di scorta, ai tempi era presidente del Consiglio. Erano mesi in cui si parlava dell´abbattimento dei canestri, il Comune pensava di toglierci il nostro playground, e io avevo già giocato qualche partita con la Tracer di Dan Peterson. Insomma, decisi di avvicinarmi, tutto sudato, stracciato, e i suoi agenti di scorta mi bloccarono. "Lasciatelo passare", disse Craxi, e gli parlai del problema. "Me ne interesserò", rispose. Non so se lo fece davvero, ma il campo non lo hanno più abbattuto».
Inizio anni Ottanta, Pittis cresceva sognando i Meneghin, i D´Antoni, i Villalta: «A portarmi al Sempione per la prima volta è stato mio fratello, più grande di sette anni, giocava anche lui. Io ero un ragazzo che cominciava a frequentare le giovanili. Sulla metà campo destra la squadra degli scarsi, a sinistra quelli forti, chi vince rimane in campo e gli altri fuori ad aspettare il loro turno. Arrivo, "Tu vai di là", e mi mettono subito con quelli più scarsi. Prima partita, e gliele suoniamo, seconda partita e faccio un altro figurone. Alla terza, quelli grandi mi chiamano e mi fanno "Tu stai con noi"».
Sfide di fuoco, per chi le ha vissute, presto la fama del Sempione si sparge in città: «A volte arrivava qualche americano, modelli soprattutto. Facevano gli spacconi, poi gli facevamo assaggiare la legge del Parco, e se ne andavano con le orecchie basse. Ma il mio "nemico" preferito si chiamava Mario Losio, ha smesso presto col basket, adesso fa il produttore con Jovanotti». Nascono leggende metropolitane, come quella che i dirigenti dell´Olimpia vengano al campo a "pizzicare" i loro ragazzi fuori dagli allenamenti: «Sciocchezze, ma è vero che Tony Cappellari ogni tanto veniva a guardare le nostre partite. C´ero io, c´erano i fratelli Anchisi, Morandotti, Pessina, Montecchi, tutta gente che nel basket ha fatto strada».
Non è leggenda, invece, l´incontro tra Pittis e Bettino Craxi, in mezzo al Parco, per salvare il playground da chi lo voleva rimuovere. «Un giorno, mentre stiamo giocando, dai vialetti del Parco passa Craxi, con la moglie e gli agenti di scorta, ai tempi era presidente del Consiglio. Erano mesi in cui si parlava dell´abbattimento dei canestri, il Comune pensava di toglierci il nostro playground, e io avevo già giocato qualche partita con la Tracer di Dan Peterson. Insomma, decisi di avvicinarmi, tutto sudato, stracciato, e i suoi agenti di scorta mi bloccarono. "Lasciatelo passare", disse Craxi, e gli parlai del problema. "Me ne interesserò", rispose. Non so se lo fece davvero, ma il campo non lo hanno più abbattuto».
Fonte: La Repubblica