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Sulla crisi dei settori giovanili

Gli stranieri oggi davanti come i veterani ieri: per i giovani non è proprio cambiato niente

Senza minimamente soffrire da pregiudiziali e quindi ingiustificati complessi di inferiorità, il campionato che inizierà fra un mese conterà di certo su meno assi affermati (rapiti dalla Nba), su budget limitati (suggeriti dalla crisi) e su una base nazionale ancor meno splendente (ultima, anagraficamente scontata rinuncia, Antonello Riva: a 38 anni sceso in B1, a Rieti con coach Zorzi, ad insegnare basket e professionalità non solo al figlio 19enne).
Il limite di almeno tre italiani per squadra come si temeva sembra persino troppo largo per un torneo di qualità e per squadre di prestigio. Prendiamo Treviso. Se Marconato avesse scelto una soluzione iberica, avrebbe spiazzato persino una managerialità attenta e previdente come quella biancoverde, obbligata a puntare sul neovirtussino Beard, americano col passaporto verde grazie ad un bisnonno siciliano. E già alla Ghirada forse iniziano a pensare alla prossima stagione quando Ricky Pittis presumibilmente si dedicherà a deliziare i clienti dei suoi ristoranti e non più dei palazzetti: un altro vuoto difficilmente colmabile, nelle regole federali oltre che nella solidità del gruppo.
Manca mano d'opera italiana in maniera sempre più evidente. Riciclare, anzi riproporre, veterani rientra nella prassi anche di maquillage ambiziosi. Trieste e persino Roma per consolidare lo zoccolo locale si sono affidati a Camata e Bonora: guardandosi in giro non hanno notato virgulti azzurri in grado di assicurare lo stesso rendimento di due specialisti apprezzati in particolare per serietà e rigore professionale oltre che per simpatia.
Le giovanili azzurre del resto offrono da anni risultati deprimenti. Si alternano i responsabili federali dell'area ma ovviamente il prodotto non cambia. I problemi risiedono infatti nella produzione, non in scelta e gestione delle risorse: materia per istruttori periferici e non del selezionatore centrale che semmai può solo cercare di tamponare con la tattica certe mancanze tecniche, esercizio riuscito a lungo benissimo in passato (in Europa ma anche in Italia) vincendo titoli e medaglie senza però sfornare giocatori.
La Nazionale Under 20 ha chiuso gli Europei in Lituania lontanissima dal podio, addirittura undicesima. Conta nulla se abbia perso di pochissimo alcune partite-chiave con le più forti, addirittura ininfluente se in due settimane (durante la preparazione a Domegge di Cadore e poi addirittura all'esordio europeo) abbia addirittura battuto, seppur allo sprint, la Grecia, cioè la squadra-campione. «Nitidissimo il divario in personalità ed esperienza, non certo sul piano fisico. - annota sospirando uno spettatore attento ed interessato della rassegna continentale come Renato Pasquali, il tecnico jesolano che prima di fungere da apprezzatissimo assistente di D'Antoni e Messina, aveva aggiunto al suo nutrito bagaglio di esperienze anche quello di responsabile dell'attività giovanile azzurra e che ora supporta tecnicamente le scelte di reclutamento internazionale della Benetton. - I nostri giocano poco o nulla, non sono aiutati a crescere, ad emergere. Colpa di tutto l'ambiente: di tecnici e dirigenti che non possono o non sanno aspettare e quindi non rischiano ma anche di agenti e genitori che illudono prematuramente i ragazzi, convincendoli di essere quello che ancora non sono. Come puntualmente si accorgono appena mettono il naso fuori di casa.»
Oltre ai talenti dell'Est, che secondo un'antica scuola di pensiero difficile da tacitare sarebbero sospinti a migliorarsi "dalla fame", le promesse italiane sono ormai abbondantemente surclassate anche da francesi, spagnoli, greci e tedeschi, cioè da prodotti di campionati nazionali dove circolano soldi e stranieri, cioè gli stessi ingredienti che da noi inquinerebbero i bacini finali d'allevamento, cioè i campionati superiori.
Qualcosa non quadra, è evidente. Non solo sul piano ambientale.
Se i nostri ventenni non ce la fanno a meritarsi un posto nemmeno in A2 e taluni nemmeno in B1 (unica eccezione i livornesi Garri e Giachetti: giocano minuti importanti in A1 e la coraggiosa Mabo si è ugualmente salvata dalla retrocessione, seppur soffrendo sino all'ultima giornata), la colpa non può essere solo del sistema. Almeno non di quello che amministra il prodotto-basket. Ma forse di quello che lo produce. Cioè la base.
Pur cercando una posizione fra le prime dieci in A1 ed un cammino lungo nella neonata Coppa Uleb, la Snaidero Udine quest'anno punterà molto su due ventenni: la guardia Sasha Vujacic e l'ala-centro Joel Zacchetti. Non importa se per una precisa politica societaria o piuttosto solo per scelte contingenti ad un mercato stagnante: la coppia è chiamata ad imporsi in campo, come primo cambio di regia lo sloveno, forse addirittura come titolare il siculo-friulano. Secondo alcuni il vero emblema di talento già all'ultima spiaggia, ai labili confini fra "promessa non mantenuta" e "realtà ancora da sbocciare".
Per questo motivo Joel Zacchetti forse è il giocatore più da seguire quest'anno, non solo nel Nord Est, per capire cosa dobbiamo attenderci nel prossimo futuro dalla Nazionale azzurra. Ammesso che ancora interessi, naturalmente.
Luigi Maffei
Fonte: Il Gazzettino
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