- Joel, ora o mai più. Lo dicono tutti, lo ripeti anche tu?
«Sì. Ed era ora. Attendo da tempo questo momento e non voglio fallire. Per me, ma anche per Claudio Medeossi e gli amici di Bicinicco (un paesino della Bassa vicino a Palmanova, ndr): la mia seconda famiglia che mi ha portato in Friuli dalla Sicilia facendomi cambiare vita, alzi rivoltandola come un calzino. Letteralmente. Anche arrivassi un giorno alla Nba e diventassi il miglior giocatore del mondo, sarebbe ancora un regalo piccolo piccolo in confronto a quanto hanno fatto per me.»
- Strano ma vero: uno dei migliori ventenni italiani non solo non è ancora titolare in una squadra di medio-bassa classifica in A1 ma nemmeno è conosciuto se non a pochissimi.
«Colpa mia, chiaro. Nel senso che sono io a dovermi meritare la notorietà, non me la devono regalare.»
- Alcuni pensano però che ai giovani vadano offerti i minuti in campo anche se non ancora più bravi di altri, specie se comunitari o stranieri.
«Magari, ma l'occasione va poi sfruttata. Spesso non accade nè l'una nè l'altra cosa.»
- In passato, quando gli stranieri erano solo due per squadra, i ventenni si trovavano il passo sbarrato dai trentenni, come oggi in B1. Eppure nessuno si scandalizzava come adesso...
«Non lo sapevo... Forse significa che siamo recidivi, che continuamo a sbagliare, a voler tutto e subito: quando circolano tanti soldi, le scelte non sono mai lungimiranti.»
- I ragazzi più bravi però emergevano ugualmente, si conquistavano il posto. Come il tuo compagno di squadra Cantarello, a 35 anni ancor oggi più affidabile di tanti virgulti. Il vivaio italiano è davvero così scarso come urlano i risultati internazionali?
«Voglio parlare solo della mia squadra, quella dell'82, un gruppo assieme da anni. Sfido chiunque a non parlarne bene: intendo per fisicità ed anche per qualità tecniche. Qualche nome? Brkic, Barlera, Mancinelli, Flamini: tutti meritevoli di giocare al massimo livello come i due livornesi. Un paio d'anni fa eravamo assediati anche noi da scout americani ed agenti europei che intravvedevano caratteristiche di qualità»
- Oggi invece...
«Si dirottano da altre parti. Dicono che ci siamo fermati. Altri migliorano (gli sloveni in maniera davvero allucinante), noi rimaniamo gli stessi. Due anni più vecchi, non più maturi. Hanno perfettamente ragione: non giochiamo, non abbiamo esperienza, sappiamo fare quasi tutto ma non scegliere il momento giusto per esibirlo. Razzi senza interruttore 'accensione.»
- Anomalia solo italiana?
«Temo proprio di sì. Non accade di certo in Francia, cestisticamente realtà vicina alla nostra. Con loro parlo spesso, mi informo, voglio capire. Ed ogni volta mi amareggio. I tre-quattro migliori giocano 20' in A1, gli altri tutti o quasi titolari nei college americani. Infatti anno dopo anno li vedo più brillanti, sicuri, pronti. Per non parlare degli sloveni e degli slavi in generale, naturalmente.»
- Realtà che conosci alla perfezione...
«L'anno scorso ho giocato sei mesi con lo Slovan, la seconda squadra di Lubiana. Ho chiesto io di emigrare, stanco di far panchina e di non progredire. Una scelta felice, riuscita, appagante: a Udine sbagliano a considerarlo un anno perso. Quando sono arrivato, in assoluto il primo italiano tesserato nella loro lega, ho trovato un muro di diffidenza e tonnellate di freddezza. Ogni duello valeva quasi come una sfida nazionale in cui loro si sentivano enormemente superiori, anche i ragazzini più giovani. Piano piano mi sono conquistato stima, amicizia e soprattutto rispetto. Oltre al posto di titolare, cioè di 25' a gara in campionato, coppa Korac e Lega Adriatica. Una bella soddisfazione.»
- Cosa hai notato di diverso rispetto al basket italiano?
«Gli allenamenti. Due al giorno, come talvolta qui, ma di una intensità superiore. Non due ore, ma davvero 120 minuti, anzi migliaia di secondi. Tutti di lavoro, con pochissime pause. E con un'attenzione maniacale ai dettagli, specie nei fondamentali individuali a cui anche con le squadre di A e non solo con i giovani viene dedicato più tempo che alla tattica ed alle soluzioni collettive.»
- Lo Slovan è comunque squadra costruita con i giovani.
«Il giocatore più vecchio ha 29 anni ma non è vero che le scelte vengono fatte con la sola carta d'identità in mano. La ricerca del risultato immediato è meno tassativa, noti meno pressione di tifosi e stampa ma non giurerei che la stessa cosa accada anche in provincia dove ad esempio battere una squadra della capitale è sempre un evento. In ogni caso dappertutto creare un talento è considerato un merito, un vanto ed oltretutto un vantaggio: anche sul piano economico, immediato prima che futuro, cioè per l'eventuale cessione. Una regola anche per la prestigiosa Olimpia che non tiene ferme in casa le promesse, solo ad allenarsi con i "grandi" o a stravincere partite giovanili insignificanti, ma le manda fuori a giocare.»
- Due anni fa Sagadin ti voleva nel suo gruppo.
«Avrei fatto bene ad accettare anche a costo di passare più tempo in un appartamento due volte meno spazioso di quello udinese, dormendo su un divano-letto troppo piccolo per i miei 2.08, privo di tante comodità. Guadagnando meno, ovvio. Oggi però si parlerebbe di me in maniera ben diversa, anche oltreoceano. Una delle mie tante colpe, probabilmente.»
- Hai notato coetanei più affamati di successo e quindi di un traguardo economico che cambi la loro vita?
«Difficile entrare nella testa della gente. Di certo a Lubiana non mancano gli svaghi ed anche i soldi, i giovani sanno divertirsi, non vedo enormi differenze col nostro stile di vita. Direi che noi ventenni italiani non siamo diversi da loro: nè nel fisico che nelle motivazioni.»
- Ma perchè allora Zacchetti e compagni qui non si allenano nella stessa misura?
«Lo facciamo, almeno quando ce lo chiedono e nella forma che ci propongono. Talvolta chiediamo anzi di lavorare da soli ma affrontiamo problemi pratici: di palestra chiusa, di custodi introvabili, magari anche di tecnici impegnati altrove. Ma il punto non è l'allenamento. O perlomeno non è il punto centrale. Il problema è giocare, giocare, giocare. In Italia nessuno aspetta un giovane: il risultato arriva prima di ogni altra cosa. Se penso che non era titolare persino quel fenomeno georgiano della Benetton andato nella Nba al primo giro...»
Luigi Maffei
«Sì. Ed era ora. Attendo da tempo questo momento e non voglio fallire. Per me, ma anche per Claudio Medeossi e gli amici di Bicinicco (un paesino della Bassa vicino a Palmanova, ndr): la mia seconda famiglia che mi ha portato in Friuli dalla Sicilia facendomi cambiare vita, alzi rivoltandola come un calzino. Letteralmente. Anche arrivassi un giorno alla Nba e diventassi il miglior giocatore del mondo, sarebbe ancora un regalo piccolo piccolo in confronto a quanto hanno fatto per me.»
- Strano ma vero: uno dei migliori ventenni italiani non solo non è ancora titolare in una squadra di medio-bassa classifica in A1 ma nemmeno è conosciuto se non a pochissimi.
«Colpa mia, chiaro. Nel senso che sono io a dovermi meritare la notorietà, non me la devono regalare.»
- Alcuni pensano però che ai giovani vadano offerti i minuti in campo anche se non ancora più bravi di altri, specie se comunitari o stranieri.
«Magari, ma l'occasione va poi sfruttata. Spesso non accade nè l'una nè l'altra cosa.»
- In passato, quando gli stranieri erano solo due per squadra, i ventenni si trovavano il passo sbarrato dai trentenni, come oggi in B1. Eppure nessuno si scandalizzava come adesso...
«Non lo sapevo... Forse significa che siamo recidivi, che continuamo a sbagliare, a voler tutto e subito: quando circolano tanti soldi, le scelte non sono mai lungimiranti.»
- I ragazzi più bravi però emergevano ugualmente, si conquistavano il posto. Come il tuo compagno di squadra Cantarello, a 35 anni ancor oggi più affidabile di tanti virgulti. Il vivaio italiano è davvero così scarso come urlano i risultati internazionali?
«Voglio parlare solo della mia squadra, quella dell'82, un gruppo assieme da anni. Sfido chiunque a non parlarne bene: intendo per fisicità ed anche per qualità tecniche. Qualche nome? Brkic, Barlera, Mancinelli, Flamini: tutti meritevoli di giocare al massimo livello come i due livornesi. Un paio d'anni fa eravamo assediati anche noi da scout americani ed agenti europei che intravvedevano caratteristiche di qualità»
- Oggi invece...
«Si dirottano da altre parti. Dicono che ci siamo fermati. Altri migliorano (gli sloveni in maniera davvero allucinante), noi rimaniamo gli stessi. Due anni più vecchi, non più maturi. Hanno perfettamente ragione: non giochiamo, non abbiamo esperienza, sappiamo fare quasi tutto ma non scegliere il momento giusto per esibirlo. Razzi senza interruttore 'accensione.»
- Anomalia solo italiana?
«Temo proprio di sì. Non accade di certo in Francia, cestisticamente realtà vicina alla nostra. Con loro parlo spesso, mi informo, voglio capire. Ed ogni volta mi amareggio. I tre-quattro migliori giocano 20' in A1, gli altri tutti o quasi titolari nei college americani. Infatti anno dopo anno li vedo più brillanti, sicuri, pronti. Per non parlare degli sloveni e degli slavi in generale, naturalmente.»
- Realtà che conosci alla perfezione...
«L'anno scorso ho giocato sei mesi con lo Slovan, la seconda squadra di Lubiana. Ho chiesto io di emigrare, stanco di far panchina e di non progredire. Una scelta felice, riuscita, appagante: a Udine sbagliano a considerarlo un anno perso. Quando sono arrivato, in assoluto il primo italiano tesserato nella loro lega, ho trovato un muro di diffidenza e tonnellate di freddezza. Ogni duello valeva quasi come una sfida nazionale in cui loro si sentivano enormemente superiori, anche i ragazzini più giovani. Piano piano mi sono conquistato stima, amicizia e soprattutto rispetto. Oltre al posto di titolare, cioè di 25' a gara in campionato, coppa Korac e Lega Adriatica. Una bella soddisfazione.»
- Cosa hai notato di diverso rispetto al basket italiano?
«Gli allenamenti. Due al giorno, come talvolta qui, ma di una intensità superiore. Non due ore, ma davvero 120 minuti, anzi migliaia di secondi. Tutti di lavoro, con pochissime pause. E con un'attenzione maniacale ai dettagli, specie nei fondamentali individuali a cui anche con le squadre di A e non solo con i giovani viene dedicato più tempo che alla tattica ed alle soluzioni collettive.»
- Lo Slovan è comunque squadra costruita con i giovani.
«Il giocatore più vecchio ha 29 anni ma non è vero che le scelte vengono fatte con la sola carta d'identità in mano. La ricerca del risultato immediato è meno tassativa, noti meno pressione di tifosi e stampa ma non giurerei che la stessa cosa accada anche in provincia dove ad esempio battere una squadra della capitale è sempre un evento. In ogni caso dappertutto creare un talento è considerato un merito, un vanto ed oltretutto un vantaggio: anche sul piano economico, immediato prima che futuro, cioè per l'eventuale cessione. Una regola anche per la prestigiosa Olimpia che non tiene ferme in casa le promesse, solo ad allenarsi con i "grandi" o a stravincere partite giovanili insignificanti, ma le manda fuori a giocare.»
- Due anni fa Sagadin ti voleva nel suo gruppo.
«Avrei fatto bene ad accettare anche a costo di passare più tempo in un appartamento due volte meno spazioso di quello udinese, dormendo su un divano-letto troppo piccolo per i miei 2.08, privo di tante comodità. Guadagnando meno, ovvio. Oggi però si parlerebbe di me in maniera ben diversa, anche oltreoceano. Una delle mie tante colpe, probabilmente.»
- Hai notato coetanei più affamati di successo e quindi di un traguardo economico che cambi la loro vita?
«Difficile entrare nella testa della gente. Di certo a Lubiana non mancano gli svaghi ed anche i soldi, i giovani sanno divertirsi, non vedo enormi differenze col nostro stile di vita. Direi che noi ventenni italiani non siamo diversi da loro: nè nel fisico che nelle motivazioni.»
- Ma perchè allora Zacchetti e compagni qui non si allenano nella stessa misura?
«Lo facciamo, almeno quando ce lo chiedono e nella forma che ci propongono. Talvolta chiediamo anzi di lavorare da soli ma affrontiamo problemi pratici: di palestra chiusa, di custodi introvabili, magari anche di tecnici impegnati altrove. Ma il punto non è l'allenamento. O perlomeno non è il punto centrale. Il problema è giocare, giocare, giocare. In Italia nessuno aspetta un giovane: il risultato arriva prima di ogni altra cosa. Se penso che non era titolare persino quel fenomeno georgiano della Benetton andato nella Nba al primo giro...»
Luigi Maffei
Fonte: Il Gazzettino