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La nuova politica Scavolini

L’anno del “chi non risica non rosica”

PESARO – Ci fu un anno in cui la Scavolini non voleva correre proprio nessun “rischio": non poteva sbagliare l’americano e voleva andare sul sicuro, prendendo il giocatore più classico nel ruolo che allora le serviva (playmaker), un giocatore già verificato e sperimentato in Italia, talmente bravo da aver vinto pochi mesi prima il titolo di MVP dell’All Star Game. Ario Costa lo ricorderà bene perché, se la memoria non ci inganna, giocò insieme a lui a Brescia, quand’era ancora un ragazzino. L’americano in questione era Stan Pietkiewitz, e fu un disastro: “tagliato" dopo poche gare. Doveva essere un campione “sicuro" e invece, in maglia biancorossa, pareva un ectoplasma. E ci fu un anno... in cui la Scavolini aveva Booker e Middleton e Traina e Tusek, più Beric e anche Blair e poi perfino Johnson. Risultato: gioco scadente, polemiche e bocche storte dall’inizio alla fine, sesto posto deludente in regular season, play-off senza sussulti. Non c’è niente da fare: dove la palla “è rotonda" due più due non fa quasi mai quattro, con buona pace della logica e della prudenza. Capita invece che (a volte) ha successo chi sfoggia coraggio e inventiva, chi fa la mossa “spiazzante" che lì per lì nessuno capisce, come ad esempio Bianchini quando scelse “assurdamente" il “pazzo" Darwin Cook al posto del bravo Aza Petrovic, e nella giornata in qui il croato aveva segnato 40 punti! In molti a Pesaro lo presero per matto, finché non vinse clamorosamente lo scudetto (allora gli dettero la cittadinanza onoraria). Tutto questo per dire che la parola “rischio", aborrita tuttora da molti tifosi (“l’abbonamento non lo faccio: si rischia troppo quest’anno..."), non deve suonare soltanto negativa. Al fattore rischio, come si è visto dagli esempi sopra riportati, è sempre difficile sfuggire. Il rischio, nello sport, è un elemento “naturale" col quale bisogna imparare a convivere. Innanzitutto implica la novità, che è sempre più attraente della ripetizione del già visto (i giocatori bisognerebbe cambiarli “per legge" ogni due-tre anni, per tenere vivi l’interesse e l’entusiasmo!). E poi la fantasia, la creatività, l’inventiva. Tutte qualità – bisogna riconoscerlo – che quest’estate Marco Crespi e i dirigenti hanno ampiamente dimostrato. Ovvio che neppure queste sono garanzie di successo. “Si poteva rischiare di meno", abbiamo pensato in molti di fronte alla sfornata di collegiali proposta dalla nuova cucina Scavolini, ma non si possono negare l’ebbrezza del rischio e il fascino di questa impetuosa ventata di novità. Ora che la coraggiosa (o temeraria) puntata è stata calata sul tavolo verde e la roulette sta per iniziare il suo giro, anche ai tifosi viene voglia di puntare la loro quota, per provare a vincere tutti quanti, malgrado il rischio. Come dicono in America? “Right or wrong, my country!". Giuste o sbagliate che siano le scelte societarie, è in ballo Pesaro ed è in ballo il basket. E chi ha nel cuore entrambi non ha mai fatto mancare in nessuna circostanza il suo tifo, il suo calore, la sua presenza al Palasport. Nemmeno negli anni bui, dove (come si è capito “dopo") si rischiava grosso senza neanche saperlo di stare rischiando. E oggi, nell’anno del Rischio consapevole e programmato, bisognerà trovare il coraggio di scommettere insieme.
Giancarlo Iacchini
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