FABRIANO - Eccoci alla vigilia del derby marchigiano di serie A tra Fabriano e Pesaro. Una sfida assai attesa sulla sponda fabrianese, come sempre capita quando c'è da affrontare gli 'squadroni' del basket italiano quali le bolognesi, la Benetton e, appunto, la Scavolini. Un match, insomma, a cui i tifosi biancazzurri tengono in particolar modo, pur vigendo una solida forma di rispetto con i vicini di Pesaro, santificata in occasione del match d'andata. Sta di fatto che la pressione inevitabilmente aumenta intorno ai protagonisti. Ne abbiamo parlato con Maurizio Lasi, per sapere qual è lo stato d'animo del coach il giorno precedente ad un match piuttosto importante.
«Di derby ne ho giocati o allenati già parecchi, quindi diciamo che ho imparato a non farmi condizionare dagli eventi della vigilia e dall'entusiasmo che c'è intorno. L'importante è rimanere lucidi e tranquilli per trasmettere i giusti segnali alla squadra».
Emotivamente parlando, quindi, il nocchiero fabrianese si presenta a prova di bomba. E non potrebbe essere altrimenti, visto che l'intera famiglia Lasi sembra possedere un Dna con i cromosomi giusti per allenare: sia il 'nostro' Maurizio sia il fratello maggiore Massimo, infatti, siedono su due panchine di alto livello italiano, per quello che appare un caso più unico che raro, almeno in tempi recenti. Maurizio, lo sappiamo bene, è alla seconda stagione a Fabriano, dove ha conquistato la promozione in A1 l'anno scorso da esordiente, confermandosi egregiamente anche ora al piano di sopra. Massimo Lasi, invece, dopo una lunga carriera da 'vice', venti giorni fa è stato promosso head-coach in B1 alla Toyota Imola per risollevare il team emiliano da una crisi di nove sconfitte consecutive: un paio di gare di rodaggio ed ecco sentirsi gli effetti del suo operato con il ritorno alla vittoria della sua Toyota a Forlì (86-87).
«Mio fratello più grande per me è stato sempre un punto di riferimento - ci racconta Maurizio - sia come tecnico che come persona. Spesso e volentieri capita di scambiarci pareri e suggerimenti».
Entrambi, inoltre, hanno una carriera da giocatori alle spalle, benché Maurizio molto più lunga e ad alto livello. «Massimo smise di giocare presto, ma aveva più fisico e più tiro di me. Poi, sai, a volte la differenza la fa un pizzico di fortuna in più».
E dire che da piccoli il loro futuro sportivo sembrava assai differente. «Nostro padre era un calciatore. Negli anni '50 giocò anche in serie B, quindi il nostro sport poteva essere quello. Poi ci appassionammo di tennis. Ma, crescendo nell'oratorio San Luigi di Forlì, alla fine scegliemmo il basket».
Adesso usano la loro scienza cestistica per orchestrare le proprie squadre. E domani Maurizio, per provare a battere la forte Scavolini, dovrà dar fondo a tutte le conoscenze finora accquisite sulla pallarancio.
«Di derby ne ho giocati o allenati già parecchi, quindi diciamo che ho imparato a non farmi condizionare dagli eventi della vigilia e dall'entusiasmo che c'è intorno. L'importante è rimanere lucidi e tranquilli per trasmettere i giusti segnali alla squadra».
Emotivamente parlando, quindi, il nocchiero fabrianese si presenta a prova di bomba. E non potrebbe essere altrimenti, visto che l'intera famiglia Lasi sembra possedere un Dna con i cromosomi giusti per allenare: sia il 'nostro' Maurizio sia il fratello maggiore Massimo, infatti, siedono su due panchine di alto livello italiano, per quello che appare un caso più unico che raro, almeno in tempi recenti. Maurizio, lo sappiamo bene, è alla seconda stagione a Fabriano, dove ha conquistato la promozione in A1 l'anno scorso da esordiente, confermandosi egregiamente anche ora al piano di sopra. Massimo Lasi, invece, dopo una lunga carriera da 'vice', venti giorni fa è stato promosso head-coach in B1 alla Toyota Imola per risollevare il team emiliano da una crisi di nove sconfitte consecutive: un paio di gare di rodaggio ed ecco sentirsi gli effetti del suo operato con il ritorno alla vittoria della sua Toyota a Forlì (86-87).
«Mio fratello più grande per me è stato sempre un punto di riferimento - ci racconta Maurizio - sia come tecnico che come persona. Spesso e volentieri capita di scambiarci pareri e suggerimenti».
Entrambi, inoltre, hanno una carriera da giocatori alle spalle, benché Maurizio molto più lunga e ad alto livello. «Massimo smise di giocare presto, ma aveva più fisico e più tiro di me. Poi, sai, a volte la differenza la fa un pizzico di fortuna in più».
E dire che da piccoli il loro futuro sportivo sembrava assai differente. «Nostro padre era un calciatore. Negli anni '50 giocò anche in serie B, quindi il nostro sport poteva essere quello. Poi ci appassionammo di tennis. Ma, crescendo nell'oratorio San Luigi di Forlì, alla fine scegliemmo il basket».
Adesso usano la loro scienza cestistica per orchestrare le proprie squadre. E domani Maurizio, per provare a battere la forte Scavolini, dovrà dar fondo a tutte le conoscenze finora accquisite sulla pallarancio.