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Scavolini, prove generali d’orchestra

PESARO – Pesaro c’è. Lo dice il manifesto della campagna abbonamenti ma non è solo uno spot: il campo lo sta confermando in pieno. Non ci riferiamo ancora al valore dei nuovi giocatori, ben lontani dalle migliori condizioni di forma e che dunque hanno tutto da dimostrare; ma alla sorprendente qualità del gioco di squadra dopo così poche settimane di allenamenti ed amichevoli, tenuto conto che si tratta di una Scavolini completamente rinnovata. Una qualità e coralità di gioco che a Urbino, malgrado l’assenza di due “play-maker" (in senso letterale) come Pecile e Richardson, ha surclassato non solo quello ancora raffazzonato della nuova Virtus, ma anche quello di una Benetton che si è retta sul tiro da tre punti e sull’arrembante egoismo del tiratore folle Langdon, “l’assassino dell’Alaska" – come lo chiamano in Usa – ma spesso anche del gioco di squadra (zero in valutazione dopo il primo tempo, appena 8 alla fine malgrado i 21 punti segnati, zero assist). Lucio Zanca è convinto che Richardson sia una scelta migliore: «Uno come Langdon non potrebbe mai giocare insieme a Beric (e a Pecile), mentre Richardson si integra nel modo migliore con gli altri esterni ed è più completo». Effettivamente l’impressione è questa: peccato che l’infortunio abbia tolto di mezzo il giocatore forse più atteso dal pubblico targato PU. Ma lui, sorridente, rassicura i suoi nuovi tifosi: «Don’t worry, I’ll be back», non preoccupatevi che torno! Ringrazia la gente per il calore dimostrato nei suoi confronti («I fans pesaresi sono eccezionali!») e pure la stampa («So quello che è stato scritto su di me al mio arrivo in Italia, e l’ho apprezzato molto»). Continua a sganasciarsi dalle risate da quando gli hanno detto che a Pesaro ha giocato “Pisellino" Daniels, il mito dei playground newyorkesi per via della totale “follia" e di quella pallottola conficcata in corpo. «Non ci credo che ha giocato qui!», esclama il Ragno... poi vuole sapere di Cook (un altro “pazzo"!) e di Daye...
Alla fine del torneo, dopo essersi tanto incavolato in campo, era incredibilmente allegro anche Crespi, felice dell’esplosione di Asso McGhee («Finalmente! Gliel’avevo detto di stare calmo e di continuare a fare il suo gioco contro quei marpioni dei lunghi di Treviso») e contento anche di Gilbert, completamente calato nella parte di playmaker al punto da dimenticare il tiro, a parte le ultime due bombe del possibile pareggio, che “doveva" prendere, altrimenti non sarebbe “The last shot guy" (l’uomo dell’ultimo tiro): «Ma sì, certo – concorda il coach – Mica gli ho detto niente! Anzi, glielo chiedevo anche prima di tirare di più ma lui si è girato e mi ha detto: coach, meglio di no, sono troppo stanco nelle gambe!». La squadra “operaia" di Crespi ha conquistato alla grande il pubblico presente a Urbino. Umile, grintosa, combattiva. Dura come una noce, che è piccola e leggera ma spacca una vetrata. “Pesaro c’è": tutta nuova, ma col cuore antico delle sue migliori tradizioni.
Giancarlo Iacchini
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