PESARO – Nessuno nasce “imparato", come dicevano i nostri nonni. Quello di Aaron McGhee, il nonno, decise un giorno di ribattezzarlo “Ace" ma siccome non basta il fisico di Godzilla per diventare un campione di basket, il buon Aaron ha dovuto “imparare" molto – e studiare sodo – per confermarsi ogni volta un Asso. Già al liceo credeva di essere “arrivato". I compagni lo guardavano come se fosse di un altro pianeta: troppo grosso e troppo bravo per una normale high school.
Ma una volta approdato orgogliosamente all’università, il “divo" si trovò a scendere bruscamente dalle stelle alle stalle. Agli occhi del cerbero Sampson (uno alla... Dado Lombardi, per intenderci), l’Asso di picche tatuato sul suo bicipite valeva quanto il due di coppe. «Non sei ancora nessuno, ma puoi provarci a diventare qualcuno», gli ripeteva in continuazione il coach, facendolo lavorare e sudare fino alla... depressione. Ha attraversato periodi difficili, McGhee, durante i quattro anni del college, ma imparando prima di tutto a lavorare a testa bassa e a stringere i denti ogni volta, li ha superati tutti uno dopo l’altro i problemi e i momenti no.
Alla fine proprio il ringhioso e incontentabile coach Sampson, quello che si vanta di aver trasformato la palestra di Oklahoma in “un canile", ha incoronato il suo allievo con caldi ed autorevoli elogi: «E’ uno che impara in fretta, che quando è di fronte ad un problema cerca di superarlo col massimo dell’impegno e della determinazione. Adesso sì che è diventato un campione, perché ha dimenticato di essere una star ed ha imparato ad essere un grandissimo lavoratore del parquet!».
Ma adesso, nella Scavolini, Aaron McGhee deve di nuovo cominciare daccapo e riconfermarsi l’Asso che era al di là dell’Atlantico. Dalla prima amichevole all’ultima finora disputata, quella con la Benetton (21 punti compresa una tripla), ha dimostrato che la sua volontà e la capacità di “imparare", e in fretta, sono rimaste le stesse. Contro il bolognese Andersen e contro il trevigiano Nicola, altre “lezioni" da apprendere entro i quaranta minuti di una partita, da assimilare e metabolizzare al più presto, da far fruttare al meglio nei mesi a venire.
Un corso accelerato molto importante, naturalmente comune a tutti i “nuovi" biancorossi, ma che nel caso di Aaron McGhee ha forse un’incidenza maggiore nell’economia della squadra, visto l’impatto che potrebbe avere – sulla Scavolini e sul campionato italiano – l’eventuale, possibile esplosione di un talento con le sue potenzialità. Stiamo parlando infatti di quello che è forse, tra i neolaureati d’America, il miglior “osservato speciale" della Nba e a detta di molti esperti il più forte tra gli esclusi al Draft 2002.
Per i “pro", dunque, certamente una speranza. Per la Vuelle, si spera già una certezza.
Giancarlo Iacchini
Ma una volta approdato orgogliosamente all’università, il “divo" si trovò a scendere bruscamente dalle stelle alle stalle. Agli occhi del cerbero Sampson (uno alla... Dado Lombardi, per intenderci), l’Asso di picche tatuato sul suo bicipite valeva quanto il due di coppe. «Non sei ancora nessuno, ma puoi provarci a diventare qualcuno», gli ripeteva in continuazione il coach, facendolo lavorare e sudare fino alla... depressione. Ha attraversato periodi difficili, McGhee, durante i quattro anni del college, ma imparando prima di tutto a lavorare a testa bassa e a stringere i denti ogni volta, li ha superati tutti uno dopo l’altro i problemi e i momenti no.
Alla fine proprio il ringhioso e incontentabile coach Sampson, quello che si vanta di aver trasformato la palestra di Oklahoma in “un canile", ha incoronato il suo allievo con caldi ed autorevoli elogi: «E’ uno che impara in fretta, che quando è di fronte ad un problema cerca di superarlo col massimo dell’impegno e della determinazione. Adesso sì che è diventato un campione, perché ha dimenticato di essere una star ed ha imparato ad essere un grandissimo lavoratore del parquet!».
Ma adesso, nella Scavolini, Aaron McGhee deve di nuovo cominciare daccapo e riconfermarsi l’Asso che era al di là dell’Atlantico. Dalla prima amichevole all’ultima finora disputata, quella con la Benetton (21 punti compresa una tripla), ha dimostrato che la sua volontà e la capacità di “imparare", e in fretta, sono rimaste le stesse. Contro il bolognese Andersen e contro il trevigiano Nicola, altre “lezioni" da apprendere entro i quaranta minuti di una partita, da assimilare e metabolizzare al più presto, da far fruttare al meglio nei mesi a venire.
Un corso accelerato molto importante, naturalmente comune a tutti i “nuovi" biancorossi, ma che nel caso di Aaron McGhee ha forse un’incidenza maggiore nell’economia della squadra, visto l’impatto che potrebbe avere – sulla Scavolini e sul campionato italiano – l’eventuale, possibile esplosione di un talento con le sue potenzialità. Stiamo parlando infatti di quello che è forse, tra i neolaureati d’America, il miglior “osservato speciale" della Nba e a detta di molti esperti il più forte tra gli esclusi al Draft 2002.
Per i “pro", dunque, certamente una speranza. Per la Vuelle, si spera già una certezza.
Giancarlo Iacchini