Stanno inventando, involontariamente, una nuova categoria: quella dei disoccupati con un contratto. Ricchi, dunque? «Ma che ricchi e ricchi... Io un anno ancora di accordo con Udine l’avrei, ma sono dispensato dal presentarmi agli allenamenti e non so come andrebbe a finire se dovessi battere cassa perché, signori, tengo famiglia e ‘‘creature’’...». Storie di sprechi, di errori e di un basket che sta andando alla malora, se si permette di non dare più un’opportunità al talento ribaldo di Nando Gentile. Ma in fondo, nonostante l’ex scugnizzo casertano a 35 anni non si senta già da pensione, la sua è una storia meno grave di quella che vivono Andrea Meneghin e Alessandro De Pol. Ovvero, due «pezzi» dell’Italia. Ora sono al palo (De Pol già da un anno) e in attesa di notizie tanto quanto Nando o altri colleghi: da Andrea Niccolai, a Fabrizio Ambrassa, ad Alessandro Davolio.
Sono ragazzi che hanno visto la serie A ad alto livello; sono anche ex azzurri: può permettersi la nostra pallacanestro, cominciando oltretutto a vedersi l’effetto-deserto prodotto dalla sciagurata politica di questi anni verso i vivai, uno spreco del genere? No. Ma il guaio è che mentre ieri s’è accasato perfino il quarantunenne Dell’Agnello (torna nella sua Livorno, in B1), mentre Ambrassa, Niccolai e Davolio hanno all’orizzonte qualche trattativa, i due nazionali rischiano proprio di stare fermi. Meneghin, ieri a Milano come «testimone» del torneo nazionale all’aperto della Nike, ci scherza su: «Offerte? Sì, dall’Atletico Varese, che gioca in Promozione, o dal Daverio, serie C2. La Virtus Bologna? Tutte balle. Quale squadra di vertice sceglierei, se potessi? Il Lugano: mi sembra molto di vertice».
Andrea è fatto così, prendere o lasciare. Ma il suo imitare le tre scimmie del «non vedo, non sento, non parlo», rappresenta una strategia. Vincente? Chissà. Sta di fatto che Meneghin, con la Fortitudo, in teoria ha già transato. Ma in pratica ciò non è ancora accaduto. Prima dare soldi e poi vedere cammello, pare di capire, nonostante l’interessato giuri «di essere in ottimi rapporti con patron Seragnoli». «Il ragazzo o chiude la partita con Bologna, o non firma. Però al via della serie A avrà una squadra degna» spiega Tony Bulgheroni, oggi agente di Andrea dopo esserne stato, a Varese, presidente. E se alla fine rimanesse a spasso? «Non esiste» taglia corto l’amico manager.
È curioso che il crocevia di questi destini sia la Fortitudo, la squadra che ha appiedato De Pol e che si appresta a portarlo in tribunale. Spiega Sandro: «Il club ha perso il lodo e non ci sta a pagarmi: proverà così la via del giudizio in sede civile. Io rischio il secondo anno di stop: mi sto allenando a Trieste, ma ormai mi sono giocato la nazionale». La sua colpa? «Solo quella di aver accettato le proposte che la Fortitudo mi fece per lasciare Roma...». Certo, sono ragazzi che hanno anche strappato contratti abnormi: ora pagano per questo e, forse, anche per la loro cocciutaggine nel tenere duro. Ma Gentile, osservatore imparziale, non ci sta: «Per tre anni ho giocato in Grecia e là sarei rimasto, con il senno del poi. Al mio rientro non immaginavo di trovare un basket senza idee, talenti e prospettive. I giocatori sono stati pagati troppo? Forse. Ma dov’erano i presidenti che firmavano quei contratti?».
Già, dov’erano?
Flavio Vanetti
Sono ragazzi che hanno visto la serie A ad alto livello; sono anche ex azzurri: può permettersi la nostra pallacanestro, cominciando oltretutto a vedersi l’effetto-deserto prodotto dalla sciagurata politica di questi anni verso i vivai, uno spreco del genere? No. Ma il guaio è che mentre ieri s’è accasato perfino il quarantunenne Dell’Agnello (torna nella sua Livorno, in B1), mentre Ambrassa, Niccolai e Davolio hanno all’orizzonte qualche trattativa, i due nazionali rischiano proprio di stare fermi. Meneghin, ieri a Milano come «testimone» del torneo nazionale all’aperto della Nike, ci scherza su: «Offerte? Sì, dall’Atletico Varese, che gioca in Promozione, o dal Daverio, serie C2. La Virtus Bologna? Tutte balle. Quale squadra di vertice sceglierei, se potessi? Il Lugano: mi sembra molto di vertice».
Andrea è fatto così, prendere o lasciare. Ma il suo imitare le tre scimmie del «non vedo, non sento, non parlo», rappresenta una strategia. Vincente? Chissà. Sta di fatto che Meneghin, con la Fortitudo, in teoria ha già transato. Ma in pratica ciò non è ancora accaduto. Prima dare soldi e poi vedere cammello, pare di capire, nonostante l’interessato giuri «di essere in ottimi rapporti con patron Seragnoli». «Il ragazzo o chiude la partita con Bologna, o non firma. Però al via della serie A avrà una squadra degna» spiega Tony Bulgheroni, oggi agente di Andrea dopo esserne stato, a Varese, presidente. E se alla fine rimanesse a spasso? «Non esiste» taglia corto l’amico manager.
È curioso che il crocevia di questi destini sia la Fortitudo, la squadra che ha appiedato De Pol e che si appresta a portarlo in tribunale. Spiega Sandro: «Il club ha perso il lodo e non ci sta a pagarmi: proverà così la via del giudizio in sede civile. Io rischio il secondo anno di stop: mi sto allenando a Trieste, ma ormai mi sono giocato la nazionale». La sua colpa? «Solo quella di aver accettato le proposte che la Fortitudo mi fece per lasciare Roma...». Certo, sono ragazzi che hanno anche strappato contratti abnormi: ora pagano per questo e, forse, anche per la loro cocciutaggine nel tenere duro. Ma Gentile, osservatore imparziale, non ci sta: «Per tre anni ho giocato in Grecia e là sarei rimasto, con il senno del poi. Al mio rientro non immaginavo di trovare un basket senza idee, talenti e prospettive. I giocatori sono stati pagati troppo? Forse. Ma dov’erano i presidenti che firmavano quei contratti?».
Già, dov’erano?
Flavio Vanetti