Prima o poi perderà una gara ufficiale la nazionale statunitense di basket formata da giocatori NBA. Quanto accaduto finora ai Mondiali di Indianapolis non ha però dato ragione alle cassandre: cinque incontri e cinque vittorie schiaccianti con uno scarto medio di 31,6 punti. Da quando hanno schierato i professionisti (qualificazioni per i Giochi di Barcellona `92), gli Usa hanno sempre vinto: 53 partite e 53 vittorie. A Indianapolis, è vero, gli avversari non sono stati finora irresistibili (Algeria, Germania, Cina, Russia e Nuova Zelanda): resta il fatto che le stelle NBA, pur senza strabiliare, rimangono le favorite per la vittoria finale. Anche perché la Jugoslavia, rivale numero uno, si è finora distinta più per i litigi interni che per il bel gioco. A quattro giorni dal termine della manifestazione, vale comunque la pena dare un´occhiata a quanto accaduto.
IL MIGLIORE. Dirk Nowitzki, 24 anni, una specie di Bronzo di Riace con i capelli biondi. Poco più che ragazzino, sarebbe potuto arrivare in Italia, a Milano o a Bologna. Alla fine, è approdato nell´NBA ed è diventato l´uomo copertina di Dallas assieme al suo amico Steve Nash. Nash lo hanno soprannominato «fulmine», Nowitzki «tuono». Nash era il fidanzato dell´ex Spice Girl Geri Halliwell: finita la loro storia, sussurri hanno attribuito proprio a Nowitzki un flirt con la bionda Geri. A Indianapolis, quasi da solo, ha fatto prendere un bello spavento agli States, vincitori alla fine ma a lungo inseguitori. Finora, un iradiddio da 25,6 punti e 7,4 rimbalzi di media.
IL PIÙ SPETTACOLARE. Il «nostro» Manu Ginobili, argentino di nascita e passaporto, due anni a Reggio Calabria e due alla Virtus Bologna con la quale ha vinto tutto. Mancino di 25 anni, non fa mai cose banali. Il prossimo anno giocherà con i «pro» di San Antonio, il pubblico americano già lo ama: contro la Russia, si è guadagnato un´ovazione in piedi dopo avere segnato otto canestri uno più bello dell´altro. Semplicemente, ha la dinamite nelle gambe e il senso dello spettacolo nel Dna.
IL RIBELLE. Johnny Neumann, l´allenatore americano del Libano che a fine Anni Settanta ha anche giocato in Italia, a Cantù. Non le ha mai mandate a dire, si è confermato: è arrivato negli States accusando la Federazione e il suo presidente di avergli imposto alcune convocazioni per motivi politici. Dopo tre sconfitte, lo hanno cacciato: oltre a non saldargli i 35 mila dollari già pattuiti, lo hanno espulso dall´albergo, sequestrandogli anche la casa di Beirut e la macchina.
IL CAPITANO. Reggie Miller, leggenda NBA di 37 anni che a Indianapolis è di casa (gioca con i Pacers): fa parte di un «Dream Team» per la terza volta, ha guardato le prime quattro partite dalla panchina senza dire «beh?». Fino a cinque anni portava dei tutori alle gambe e aveva difficoltà a camminare: sta con i grandissimi di questo sport.
LA SQUADRA RIVELAZIONE. Porto Rico, capace di battere nel primo girone i vicecampioni d´Europa della Turchia e, nel secondo, la Jugoslavia campione del mondo in carica. Espressione di un Paese di quattro milioni di abitanti, dove il basket è sport nazionale, vive di entusiasmo ma non solo: il 38enne Piculin Ortiz ha trovato la formula dell´eterna giovinezza, Daniel Santiago è un altro giocatore rispetto a quello visto a Varese qualche anno fa. Ne gode Roma, che lo ha tesserato per la prossima stagione e che già lo immagina vicino a Myers. E poi c´è la favola di Elias Larry Ayuso, secondo marcatore della rassegna iridata (25,3) che lo scorso anno è retrocesso in B1 con Montegranaro: sul braccio, lui che ha sofferto la fame per davvero, ha tatuato il viso sofferente di Gesù.
IL TEAM PIÙ SIMPATICO... Nuova Zelanda. I «Tall Blacks» hanno lo stesso spirito dei guerrieri Maori che ha reso famosi gli All Blacks nel rugby: non mollano mai e, avendo già vinto due partite, possono entrare nelle prime otto. Il loro faro è Pero Cameron, due metri per 130 kg, che arriva dal rugby: un armadio che tira anche da tre (quasi il 40%) ma che non disdegna di smazzare assist al bacio.
... E IL PIÙ ANTIPATICO. Jugoslavia. Se Divac e compagni si mettessero davvero a giocare, sarebbero dolori (quasi) per tutti. Hanno talento, classe e fisico: finora, hanno usato solo la lingua per litigare e rendere difficili anche le cose più semplici. Non dovessero arrivare almeno in semifinale, sarebbe fallimento totale.
Domenico Latagliata
IL MIGLIORE. Dirk Nowitzki, 24 anni, una specie di Bronzo di Riace con i capelli biondi. Poco più che ragazzino, sarebbe potuto arrivare in Italia, a Milano o a Bologna. Alla fine, è approdato nell´NBA ed è diventato l´uomo copertina di Dallas assieme al suo amico Steve Nash. Nash lo hanno soprannominato «fulmine», Nowitzki «tuono». Nash era il fidanzato dell´ex Spice Girl Geri Halliwell: finita la loro storia, sussurri hanno attribuito proprio a Nowitzki un flirt con la bionda Geri. A Indianapolis, quasi da solo, ha fatto prendere un bello spavento agli States, vincitori alla fine ma a lungo inseguitori. Finora, un iradiddio da 25,6 punti e 7,4 rimbalzi di media.
IL PIÙ SPETTACOLARE. Il «nostro» Manu Ginobili, argentino di nascita e passaporto, due anni a Reggio Calabria e due alla Virtus Bologna con la quale ha vinto tutto. Mancino di 25 anni, non fa mai cose banali. Il prossimo anno giocherà con i «pro» di San Antonio, il pubblico americano già lo ama: contro la Russia, si è guadagnato un´ovazione in piedi dopo avere segnato otto canestri uno più bello dell´altro. Semplicemente, ha la dinamite nelle gambe e il senso dello spettacolo nel Dna.
IL RIBELLE. Johnny Neumann, l´allenatore americano del Libano che a fine Anni Settanta ha anche giocato in Italia, a Cantù. Non le ha mai mandate a dire, si è confermato: è arrivato negli States accusando la Federazione e il suo presidente di avergli imposto alcune convocazioni per motivi politici. Dopo tre sconfitte, lo hanno cacciato: oltre a non saldargli i 35 mila dollari già pattuiti, lo hanno espulso dall´albergo, sequestrandogli anche la casa di Beirut e la macchina.
IL CAPITANO. Reggie Miller, leggenda NBA di 37 anni che a Indianapolis è di casa (gioca con i Pacers): fa parte di un «Dream Team» per la terza volta, ha guardato le prime quattro partite dalla panchina senza dire «beh?». Fino a cinque anni portava dei tutori alle gambe e aveva difficoltà a camminare: sta con i grandissimi di questo sport.
LA SQUADRA RIVELAZIONE. Porto Rico, capace di battere nel primo girone i vicecampioni d´Europa della Turchia e, nel secondo, la Jugoslavia campione del mondo in carica. Espressione di un Paese di quattro milioni di abitanti, dove il basket è sport nazionale, vive di entusiasmo ma non solo: il 38enne Piculin Ortiz ha trovato la formula dell´eterna giovinezza, Daniel Santiago è un altro giocatore rispetto a quello visto a Varese qualche anno fa. Ne gode Roma, che lo ha tesserato per la prossima stagione e che già lo immagina vicino a Myers. E poi c´è la favola di Elias Larry Ayuso, secondo marcatore della rassegna iridata (25,3) che lo scorso anno è retrocesso in B1 con Montegranaro: sul braccio, lui che ha sofferto la fame per davvero, ha tatuato il viso sofferente di Gesù.
IL TEAM PIÙ SIMPATICO... Nuova Zelanda. I «Tall Blacks» hanno lo stesso spirito dei guerrieri Maori che ha reso famosi gli All Blacks nel rugby: non mollano mai e, avendo già vinto due partite, possono entrare nelle prime otto. Il loro faro è Pero Cameron, due metri per 130 kg, che arriva dal rugby: un armadio che tira anche da tre (quasi il 40%) ma che non disdegna di smazzare assist al bacio.
... E IL PIÙ ANTIPATICO. Jugoslavia. Se Divac e compagni si mettessero davvero a giocare, sarebbero dolori (quasi) per tutti. Hanno talento, classe e fisico: finora, hanno usato solo la lingua per litigare e rendere difficili anche le cose più semplici. Non dovessero arrivare almeno in semifinale, sarebbe fallimento totale.
Domenico Latagliata
Fonte: La Stampa