«Quando mancava un minuto alla fine, ancora non riuscivamo a crederci. Ci guardavamo negli occhi e dicevamo: ma tu ci credi? Una grande, importante vittoria. E non tanto per il Mondiale, quanto per l´intera nazione argentina».
Magari non vinceranno la medaglia d´oro, o nemmeno quella di bronzo, ma l´Argentina di Emanuel Ginobili, quello che fino a poco fa faceva cantare la curva virtussina («il Fenomeno ce l´abbiamo noi»), l´altra notte ha riscritto la storia. I padroni del vapore cestistico, i fenomeni della Nba, particolarmente – e forse troppo - frizzi e lazzi nelle ultime versioni, si sono inchinati agli argentini e alla loro garra. «Giù il sombrero», ha commentato George Karl, coach degli Usa, miglior stipendio Nba, a 7 milioni di dollari, bravo in fair play, meno in geografia: non ha perso col Messico, ma dov´è Baires, sull´atlante, ora lo troverà ad occhi chiusi.
Parole e musica di Ginobili, in una partita in cui, nonostante due falli precoci, è riuscito ugualmente a fare il leader. Così, tutta una rosa di talento e fisicità debordante l´ha seguito e assecondato, e pure le impennate di Sconochini avranno evocato grati ricordi nella curva bianconera. Quindici punti e non solo, per Manu: in particolare, tanti assist (è il secondo nel Mondiale), tanto per ribadire che il basket è gioco di squadra, prima che riflesso individuale. E contro una squadra, il Team Usa, che squadra non è stata. «Molti hanno detto – continua lui - che questo non è un vero Dream Team. Ma leggete il loro nomi e guardate il loro talento: sono lo stesso da sogno». Un sogno di cui farà parte anche Manu, dal prossimo mese, cercando un posto nel quintetto dei San Antonio Spurs.
Erano imbarazzati, gli americani. Una maglia che, vestita dagli assi Nba, era uscita illesa da 58 incontri di fila, non era probabilmente mai stata tanto insopportabile da indossare. E´ un duro smacco, che Emanuel commenta anche così: «Tra noi e loro c´era una grande differenza. Noi ci conosciamo bene, giochiamo insieme da tempo, difendiamo e attacchiamo in cinque. Sappiamo dove fare i blocchi, sappiamo quando tagliare per un passaggio. Loro, apparentemente, no. E non hanno una difesa di squadra».
Ed è stato proprio questo il segreto (relativo) dell´Argentina. Coesione e intensità, difesa e attacco magistrale, costruito su giocatori spesso bollati come indisciplinati (vedi Sconochini), ma che all´interno del sistema creato dal coach del Boca Juniors sono riusciti a dare il meglio: proprio Hugo, tirato a lucido e tornato a un taglio più ortodosso, ha scavato il solco nel primo tempo, 5 assist e una tripla, e messo poi la partita in ghiaccio, con una penetrazione vincente in acrobazia. In più, ha trascinato anche gli ex compagni del Tau: Nocioni, Oberto e Scola hanno banchettato sui centri americani.
E il film di Ginobili? Apre col 2-0, segna 6 punti nei primi 5´, come entrasse nella difesa di Roseto, poi sale a due falli (sul 17-10) e il resto dello straripamento, cui concorre pure il mai virtussino Wolkowyski, se lo vede dalla panca. Rientra e firma il massimo vantaggio (+20, 52-32), soffre con gli altri nel terzo quarto molto Usa, e però ferisce ancora: sul +6, alla sirena, segna in entrata un +8 che regala ai suoi un ultimo pit stop meno ansioso. Quarto quarto, il trionfo. A Ginobili non resta che prendere in mano la squadra, con bacchetta e fioretto, per guidarla nella storia.
Marco Martelli
Magari non vinceranno la medaglia d´oro, o nemmeno quella di bronzo, ma l´Argentina di Emanuel Ginobili, quello che fino a poco fa faceva cantare la curva virtussina («il Fenomeno ce l´abbiamo noi»), l´altra notte ha riscritto la storia. I padroni del vapore cestistico, i fenomeni della Nba, particolarmente – e forse troppo - frizzi e lazzi nelle ultime versioni, si sono inchinati agli argentini e alla loro garra. «Giù il sombrero», ha commentato George Karl, coach degli Usa, miglior stipendio Nba, a 7 milioni di dollari, bravo in fair play, meno in geografia: non ha perso col Messico, ma dov´è Baires, sull´atlante, ora lo troverà ad occhi chiusi.
Parole e musica di Ginobili, in una partita in cui, nonostante due falli precoci, è riuscito ugualmente a fare il leader. Così, tutta una rosa di talento e fisicità debordante l´ha seguito e assecondato, e pure le impennate di Sconochini avranno evocato grati ricordi nella curva bianconera. Quindici punti e non solo, per Manu: in particolare, tanti assist (è il secondo nel Mondiale), tanto per ribadire che il basket è gioco di squadra, prima che riflesso individuale. E contro una squadra, il Team Usa, che squadra non è stata. «Molti hanno detto – continua lui - che questo non è un vero Dream Team. Ma leggete il loro nomi e guardate il loro talento: sono lo stesso da sogno». Un sogno di cui farà parte anche Manu, dal prossimo mese, cercando un posto nel quintetto dei San Antonio Spurs.
Erano imbarazzati, gli americani. Una maglia che, vestita dagli assi Nba, era uscita illesa da 58 incontri di fila, non era probabilmente mai stata tanto insopportabile da indossare. E´ un duro smacco, che Emanuel commenta anche così: «Tra noi e loro c´era una grande differenza. Noi ci conosciamo bene, giochiamo insieme da tempo, difendiamo e attacchiamo in cinque. Sappiamo dove fare i blocchi, sappiamo quando tagliare per un passaggio. Loro, apparentemente, no. E non hanno una difesa di squadra».
Ed è stato proprio questo il segreto (relativo) dell´Argentina. Coesione e intensità, difesa e attacco magistrale, costruito su giocatori spesso bollati come indisciplinati (vedi Sconochini), ma che all´interno del sistema creato dal coach del Boca Juniors sono riusciti a dare il meglio: proprio Hugo, tirato a lucido e tornato a un taglio più ortodosso, ha scavato il solco nel primo tempo, 5 assist e una tripla, e messo poi la partita in ghiaccio, con una penetrazione vincente in acrobazia. In più, ha trascinato anche gli ex compagni del Tau: Nocioni, Oberto e Scola hanno banchettato sui centri americani.
E il film di Ginobili? Apre col 2-0, segna 6 punti nei primi 5´, come entrasse nella difesa di Roseto, poi sale a due falli (sul 17-10) e il resto dello straripamento, cui concorre pure il mai virtussino Wolkowyski, se lo vede dalla panca. Rientra e firma il massimo vantaggio (+20, 52-32), soffre con gli altri nel terzo quarto molto Usa, e però ferisce ancora: sul +6, alla sirena, segna in entrata un +8 che regala ai suoi un ultimo pit stop meno ansioso. Quarto quarto, il trionfo. A Ginobili non resta che prendere in mano la squadra, con bacchetta e fioretto, per guidarla nella storia.
Marco Martelli
Fonte: La Repubblica