INDIANAPOLIS - Dieci anni di successi pieni, 58 vittorie consecutive. E poi il tonfo: il Dream Team del basket Usa è stato sconfitto, e senza attenuanti, dalla sorprendente Argentina. Ai Mondiali di Indianapolis, i primi giocati negli Usa, la battuta d'arresto fa scalpore: il torneo, finora seguito in modo distratto dal pubblico americano che lo considerava dall'esito scontato, esplode sulle prime pagine dei maggiori giornali. L'America, un po’ incredula, rivive lo stesso dramma sportivo di quel settembre 1972, quando gli Stati Uniti persero la finale di basket alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, quelle insanguinate dal terrorismo anti-israeliano.
La sconfitta di Monaco, che fu la prima nella storia delle Olimpiadi, lasciò il segno, anche perché la palla del canestro di Belov che beffò gli americani partì un istante dopo la sirena di fine incontro e venne ugualmente convalidato nonostante le proteste. Il verdetto non è mai stato del tutto accettato: proprio in questi giorni le televisioni americane stavano rimandando all'infinito, da tutti gli angoli, l'immagine del canestro malandrino del biondo Belov che nella sua altalenante carriera finì anche ad allenare in Italia, in serie B.
«L'effetto paurà è svanito», ha constatato dopo la batosta Reggie Miller, uno dei leader della squadra e idolo di Indianapolis (è la stella dei Pacers). L'effetto paura è quello che, dal 1992, incuteva la squadra degli Usa, da quando cioè per le Olimpiadi di Barcellona, dove c'era da riscattare un'altra sconfitta, quella dei Giochi di Seul senza l'attenuante di un canestro fuori tempo, gli Stati Uniti hanno iniziato a schierare gli assi dell'Nba, il paradiso della pallacanestro mondiale.
Per la verità, il Dream Team - termine di cui in realtà si sta facendo abuso, visto che in teoria dovrebbe riferirsi solo alla nazionale del 1992, con Jordan, Magic Johnson, Larry Bird, Malone e gli altri superassi - non è sempre stato la squadra dei sogni: alle Olimpiadi i campionissimi ci vanno volentieri, ai Mondiali un po’ meno e le defezioni sono sempre numerose, come è capitato anche quest'anno con una formazione composta di seconde scelte.
Ma il risultato, finora, era sempre stato assicurato per 58 volte consecutive. C'era stata la battuta a vuoto dei Mondiali di Grecia capitati, però, durante una «serrata» della NBA, quando era stata messa in campo una raccogliticcia formazione di mezze figure. Così il titolo era andato alla Jugoslavia. Contro l’Argentina a Indianapolis gli Usa hanno perso 87-80 dopo essere stati sotto, verso la fine della prima metà, anche di venti punti ed avere chiuso la prima fase a -17. Per ben cinque minuti gli atleti statunitensi non sono andati a canestro.
Nella ripresa c'è stato un abbozzo di riscossa ma gli argentini, sempre avanti, non hanno mai perso la testa, anche quando il loro vantaggio s'era ridotto a sei punti.
«Im embarrassed», mi vergogno, è stato il leit-motiv nelle dichiarazioni dei giocatori. «Mi vergogno di fare parte della squadra che ha perso per la prima volta - ha detto Paul Pierce (Celtics) - Possiamo ancora arrivare alla medaglia d'oro, ma tutti ci ricorderanno sempre come ”quella” squadra». Non è mancata la polemica: «Il mondo è contro di noi, la classifica è contro di noi, gli arbitri sono contro di noi. Tutto è contro di noi. L'unica cosa che dobbiamo fare è scendere in campo a testa alta, giocare duro e conquistare l'oro», ha gridato Reggie Miller.
E Baron Davis (Hornets): «Mi vergogno e basta». Chiaro? E poi Antonio Davis (Raptors): «Credo che l'Argentina abbia capito come giocare contro di noi e batterci: il linguaggio dei loro corpi, il modo di giocare insieme, di essere una squadra. Tutto questo li ha portati alla vittoria».
Dafne Tibbet
La sconfitta di Monaco, che fu la prima nella storia delle Olimpiadi, lasciò il segno, anche perché la palla del canestro di Belov che beffò gli americani partì un istante dopo la sirena di fine incontro e venne ugualmente convalidato nonostante le proteste. Il verdetto non è mai stato del tutto accettato: proprio in questi giorni le televisioni americane stavano rimandando all'infinito, da tutti gli angoli, l'immagine del canestro malandrino del biondo Belov che nella sua altalenante carriera finì anche ad allenare in Italia, in serie B.
«L'effetto paurà è svanito», ha constatato dopo la batosta Reggie Miller, uno dei leader della squadra e idolo di Indianapolis (è la stella dei Pacers). L'effetto paura è quello che, dal 1992, incuteva la squadra degli Usa, da quando cioè per le Olimpiadi di Barcellona, dove c'era da riscattare un'altra sconfitta, quella dei Giochi di Seul senza l'attenuante di un canestro fuori tempo, gli Stati Uniti hanno iniziato a schierare gli assi dell'Nba, il paradiso della pallacanestro mondiale.
Per la verità, il Dream Team - termine di cui in realtà si sta facendo abuso, visto che in teoria dovrebbe riferirsi solo alla nazionale del 1992, con Jordan, Magic Johnson, Larry Bird, Malone e gli altri superassi - non è sempre stato la squadra dei sogni: alle Olimpiadi i campionissimi ci vanno volentieri, ai Mondiali un po’ meno e le defezioni sono sempre numerose, come è capitato anche quest'anno con una formazione composta di seconde scelte.
Ma il risultato, finora, era sempre stato assicurato per 58 volte consecutive. C'era stata la battuta a vuoto dei Mondiali di Grecia capitati, però, durante una «serrata» della NBA, quando era stata messa in campo una raccogliticcia formazione di mezze figure. Così il titolo era andato alla Jugoslavia. Contro l’Argentina a Indianapolis gli Usa hanno perso 87-80 dopo essere stati sotto, verso la fine della prima metà, anche di venti punti ed avere chiuso la prima fase a -17. Per ben cinque minuti gli atleti statunitensi non sono andati a canestro.
Nella ripresa c'è stato un abbozzo di riscossa ma gli argentini, sempre avanti, non hanno mai perso la testa, anche quando il loro vantaggio s'era ridotto a sei punti.
«Im embarrassed», mi vergogno, è stato il leit-motiv nelle dichiarazioni dei giocatori. «Mi vergogno di fare parte della squadra che ha perso per la prima volta - ha detto Paul Pierce (Celtics) - Possiamo ancora arrivare alla medaglia d'oro, ma tutti ci ricorderanno sempre come ”quella” squadra». Non è mancata la polemica: «Il mondo è contro di noi, la classifica è contro di noi, gli arbitri sono contro di noi. Tutto è contro di noi. L'unica cosa che dobbiamo fare è scendere in campo a testa alta, giocare duro e conquistare l'oro», ha gridato Reggie Miller.
E Baron Davis (Hornets): «Mi vergogno e basta». Chiaro? E poi Antonio Davis (Raptors): «Credo che l'Argentina abbia capito come giocare contro di noi e batterci: il linguaggio dei loro corpi, il modo di giocare insieme, di essere una squadra. Tutto questo li ha portati alla vittoria».
Dafne Tibbet