INDIANAPOLIS - A ciascuno il suo Moreno. C'è in fatti la mano di un arbitro, il greco Nikolaos Pitsilkas, nella storia dell'Argentina che arriva a tre metri dal titolo mondiale, e se lo vede negare da un fischio se non dubbio, quantomeno molto coraggioso. E' stato quando, dopo una baraonda per accaparrarsi una palla vagante a metà campo, Jaric, regista della Jugoslavia, ne ha perso il controllo. Braccia protese, intreccio di gambe: ne è uscito con la sfera tra le mani Luis Scola, l'ala di Buenos Aires che col sorriso sulle labbra l'andava a depositare facilmente e solitario nella retina. Punteggio 77-75, tempo praticamente scaduto. Ed è qui che l'arbitro greco è salito sulla scena ed ha fischiato una manata, qualcosa, che ha cancellato l'illusione argentina e spedito la gara al supplementare. Ed è così che la Jugoslavia è diventata per la seconda volta consecutiva campione del mondo, vincendo in casa dei «nemici» americani, una doppietta che non riusciva a nessuna compagine dal 1963, quando fu il Brasile ad ottenerla.
E' un peccato. Ma non perché la Jugoslavia non sia una degna trionfatrice, piuttosto perché una partita così bella e intensa meritava di terminare senza macchie. I sudamericani hanno da recriminare sull'operato dell'arbitro, ma devono anche fare un esamino di coscienza sul loro atteggiamento. Su come, ad esempio, hanno potuto far evaporare dieci punti di margine nella seconda parte di gara.
Imputato numero uno il coach Magnano che ha voluto buttare dentro uno zoppo, Ginobili, il cui apporto è stato non solo disastroso, ma anche dannoso nel momento chiave. Non poteva essere diversamente: l'ex virtussino giocava con una caviglia grossa come un melone. La squadra, senza di lui in campo, era andata molto meglio.
Ma adesso è tardi per recriminare. Dentro una Conseco Arena finalmente gremita, in gran parte da slavi piovuti da ogni parte d'America, l'Argentina ha lasciato il cuore e soprattutto una grande impressione. Un giocatore come Oberto, 27enne che gioca in Spagna, ha chiuso la finale con 28 punti, umiliando in varie occasione un demonio del calibro di Vlade Divac. Gli scout della Nba hanno cerchiato in rosso il suo nome: possibile non essersene accorti prima? Campione del mondo dunque, si laurea la squadra più attesa dopo le frattaglie di Dream Team Usa (sconfitto pure dalla Spagna: sesto alla fine). Ma con due sconfitte nel girone eliminatorio ed una finale giocata a sprazzi, i serbi non hanno incantato nessuno, subendo molto spesso la forza di squadra dei sudamericani. Poi si sa, quando il pallone scotta tra le mani, gente come Stojiakovic o Bodiroga, diventa uno spietato killer.
A Bodiroga il coach Pesic dovrebbe fare un monumento: ha segnato 9 punti di fila per i suoi nell'ultimo quarto, quello della rimonta, dopo che gli argentini erano andati avanti 69-61. Ha segnato 16 punti complessivi in quell'ultimo trancio di gara. Ventisette i totali. Ed ha dovuto caricarsi sulle spalle anche gente da Nba, come Divac che i primi due punti su azione li ha segnati soltanto a 5' dalla fine. Non solo: ma il centro dei Sacramento Kings l'aveva combinata grossa prima del pasticcio arbitrale: con 5" da giocare era andato in lunetta per sigillare la vittoria. Ha fallito entrambi i tiri liberi, aprendo un'incredibile opportunità, poi svanita, agli avversari. Gli e' andata bene, e assieme a lui la Jugoslavia può fare festa.
Il circo del basket mondiale lascia dunque Indianapolis con molte informazioni utili: la prima è che il Dream Team avrà bisogno di prepararsi bene per sperare di imporsi in questo tipo di basket. George Karl, coach gentiluomo con due anni di lavoro al Real Madrid, sfodera il «fair play» e ammette: «C’è soddisfazione nel vedere che il mondo sta raggiungendo il livello della Nba. Sono ovviamente deluso dal nostro risultato, ma gli Stati Uniti torneranno al vertice. E il basket ne godrà».
La seconda risultanza è che si è visto ottimo basket, diverso per fattura e stile rispetto a quello che si ammira nell'Nba, ma non per questo meno appassionante. Per gli americani è dura da digerire, ma è la verità. Se ne riparlerà ad Atene.
Riccardo Romani
E' un peccato. Ma non perché la Jugoslavia non sia una degna trionfatrice, piuttosto perché una partita così bella e intensa meritava di terminare senza macchie. I sudamericani hanno da recriminare sull'operato dell'arbitro, ma devono anche fare un esamino di coscienza sul loro atteggiamento. Su come, ad esempio, hanno potuto far evaporare dieci punti di margine nella seconda parte di gara.
Imputato numero uno il coach Magnano che ha voluto buttare dentro uno zoppo, Ginobili, il cui apporto è stato non solo disastroso, ma anche dannoso nel momento chiave. Non poteva essere diversamente: l'ex virtussino giocava con una caviglia grossa come un melone. La squadra, senza di lui in campo, era andata molto meglio.
Ma adesso è tardi per recriminare. Dentro una Conseco Arena finalmente gremita, in gran parte da slavi piovuti da ogni parte d'America, l'Argentina ha lasciato il cuore e soprattutto una grande impressione. Un giocatore come Oberto, 27enne che gioca in Spagna, ha chiuso la finale con 28 punti, umiliando in varie occasione un demonio del calibro di Vlade Divac. Gli scout della Nba hanno cerchiato in rosso il suo nome: possibile non essersene accorti prima? Campione del mondo dunque, si laurea la squadra più attesa dopo le frattaglie di Dream Team Usa (sconfitto pure dalla Spagna: sesto alla fine). Ma con due sconfitte nel girone eliminatorio ed una finale giocata a sprazzi, i serbi non hanno incantato nessuno, subendo molto spesso la forza di squadra dei sudamericani. Poi si sa, quando il pallone scotta tra le mani, gente come Stojiakovic o Bodiroga, diventa uno spietato killer.
A Bodiroga il coach Pesic dovrebbe fare un monumento: ha segnato 9 punti di fila per i suoi nell'ultimo quarto, quello della rimonta, dopo che gli argentini erano andati avanti 69-61. Ha segnato 16 punti complessivi in quell'ultimo trancio di gara. Ventisette i totali. Ed ha dovuto caricarsi sulle spalle anche gente da Nba, come Divac che i primi due punti su azione li ha segnati soltanto a 5' dalla fine. Non solo: ma il centro dei Sacramento Kings l'aveva combinata grossa prima del pasticcio arbitrale: con 5" da giocare era andato in lunetta per sigillare la vittoria. Ha fallito entrambi i tiri liberi, aprendo un'incredibile opportunità, poi svanita, agli avversari. Gli e' andata bene, e assieme a lui la Jugoslavia può fare festa.
Il circo del basket mondiale lascia dunque Indianapolis con molte informazioni utili: la prima è che il Dream Team avrà bisogno di prepararsi bene per sperare di imporsi in questo tipo di basket. George Karl, coach gentiluomo con due anni di lavoro al Real Madrid, sfodera il «fair play» e ammette: «C’è soddisfazione nel vedere che il mondo sta raggiungendo il livello della Nba. Sono ovviamente deluso dal nostro risultato, ma gli Stati Uniti torneranno al vertice. E il basket ne godrà».
La seconda risultanza è che si è visto ottimo basket, diverso per fattura e stile rispetto a quello che si ammira nell'Nba, ma non per questo meno appassionante. Per gli americani è dura da digerire, ma è la verità. Se ne riparlerà ad Atene.
Riccardo Romani