Prima un'oretta e mezza fitta di allenamento nella gloriosa palestra della Partenope ai Cavalli di Bronzo. Stretching, riscaldamento, tanto tiro in sospensione, un po' di uno-contro-uno. Poi l'apparizione alla Stazione Marittima: erano in ottomila alla finalissima della «Nike Playground League» per salutare due astri della Nba, Allan Houston e Richard Jefferson. Allan Houston, 31 anni, ala dei New York Knicks, nella Nba viaggia alla media di quasi 20 punti a gara. È considerato uno dei più grandi tiratori del pianeta, giocatore elegantissimo e dai movimenti felpati. Jefferson, 22 anni, ha esordito in Nba nella scorsa stagione con i New Jersey Nets arrivando fino alla finalissima contro i Lakers. Fuori dal campo ragazzo mite e timido, sul parquet uomo-elicottero che non ha limiti dal punto di vista fisico.
La prima scoperta è che Houston ha un legame con Napoli ed è proprio lui a svelarlo: «Nella vostra squadra gioca un mio caro amico, Dontae' Jones - dice Allan - ci siamo conosciuti nella stagione '95-'96 quando lui fu scelto da New York e io stavo approdando nella Grande Mela. Per lui l'avventura finì subito ma non ci siamo mai persi di vista. Credo che Dontae' sia un giocatore fantastico e un bravo ragazzo. È vero, può aver commesso qualche errore di gioventù, forse era un po' immaturo. Ma credo sia cambiato e già oggi potrebbe facilmente trovare un ingaggio in qualsiasi squadra Nba. Napoli è fortunata ad avere un tipo come lui». Ma dietro l'arrivo di Jones c'è la grande conoscenza del mercato americano di un volpone come Andrea Fadini, che l'ha pescato, dimenticato da tutti, nella Midnight League, la lega dove i match cominciano a mezzanotte per togliere dalla strada i giocatori a rischio.
Ma Allan Houston verrebbe a giocare qui, magari tra qualche anno? «Napoli è una città unica, non ero mai venuto in Italia e trovo sia una terra bellissima - dice la stella dei Knicks - anche in Usa abbiamo bei luoghi di mare, ma non certo ricchi di storia come Napoli. Non nego che mi piacerebbe fare un'esperienza in questa città, l'idea mi alletta molto e poi potrei giocare con Dontae'. Il campionato italiano è di alto livello, tra i giocatori conosco Carlton Myers. Il problema è legato ai miei bambini, che dovrebbero cambiare abitudini. Ma tra qualche anno...».
E la sconfitta inopinata del Dream Team ai Mondiali di Indianapolis? «Non è stata uno choc per me, anche se non era certo prevedibile. Oggi il basket è più livellato, e se pretendi di andare ai Mondiali con una squadra radunata dieci giorni prima rischi di fare figure barbine. Io ho fatto parte del Dream Team a Sydney, vincemmo l'oro ma anche lì rischiammo di perdere con la Lituania».
Stefano Prestisimone
La prima scoperta è che Houston ha un legame con Napoli ed è proprio lui a svelarlo: «Nella vostra squadra gioca un mio caro amico, Dontae' Jones - dice Allan - ci siamo conosciuti nella stagione '95-'96 quando lui fu scelto da New York e io stavo approdando nella Grande Mela. Per lui l'avventura finì subito ma non ci siamo mai persi di vista. Credo che Dontae' sia un giocatore fantastico e un bravo ragazzo. È vero, può aver commesso qualche errore di gioventù, forse era un po' immaturo. Ma credo sia cambiato e già oggi potrebbe facilmente trovare un ingaggio in qualsiasi squadra Nba. Napoli è fortunata ad avere un tipo come lui». Ma dietro l'arrivo di Jones c'è la grande conoscenza del mercato americano di un volpone come Andrea Fadini, che l'ha pescato, dimenticato da tutti, nella Midnight League, la lega dove i match cominciano a mezzanotte per togliere dalla strada i giocatori a rischio.
Ma Allan Houston verrebbe a giocare qui, magari tra qualche anno? «Napoli è una città unica, non ero mai venuto in Italia e trovo sia una terra bellissima - dice la stella dei Knicks - anche in Usa abbiamo bei luoghi di mare, ma non certo ricchi di storia come Napoli. Non nego che mi piacerebbe fare un'esperienza in questa città, l'idea mi alletta molto e poi potrei giocare con Dontae'. Il campionato italiano è di alto livello, tra i giocatori conosco Carlton Myers. Il problema è legato ai miei bambini, che dovrebbero cambiare abitudini. Ma tra qualche anno...».
E la sconfitta inopinata del Dream Team ai Mondiali di Indianapolis? «Non è stata uno choc per me, anche se non era certo prevedibile. Oggi il basket è più livellato, e se pretendi di andare ai Mondiali con una squadra radunata dieci giorni prima rischi di fare figure barbine. Io ho fatto parte del Dream Team a Sydney, vincemmo l'oro ma anche lì rischiammo di perdere con la Lituania».
Stefano Prestisimone