INDIANAPOLIS - «Ti prego, scrivilo che ce l’hanno rubata. Te lo chiedo per favore. Rubata». Hugo Sconochini si aggrappa a un superalcolico nell’unica bisteccheria decente in città, mentre i compagni attorno celebrano tristi un secondo posto mondiale che fino a dieci giorni fa neppure sognavano. Va detto: l’idea degli argentini campioni del mondo, dopo aver strapazzato quei presuntuosi del Dream Team, era garbata a tutti. È vero, l’arbitro greco Pitsilkas è un furbetto, ma a Sconochini e compagni è mancato l’istinto del killer. La Jugoslavia è dunque iridata per la quinta volta, la seconda di fila. A quattro minuti dalla fine, con 8 punti da recuperare e un Oberto che sembrava Shaquille O’Neal, in pochi avrebbero azzardato questa ipotesi.
In questa ristretta cerchia di persone si annovera Dejan Bodiroga, uomo di cui i serbi stamperanno la faccia in un ex-voto. Segnando 16 punti nell’ultimo quarto, ha strappato l’oro dal collo degli avversari. Quelli della rete Nbc che trasmettevano la partita dal vivo hanno preso a spulciare gli almanacchi: ma chi diavolo è questo B-o-d-i- r-o-g-a? Perché non sta nella Nba? Se Boscia Tanjevic fosse stato a Indianapolis, avrebbe ripetuto loro la frase pronunciata a Trieste quando il 19enne Dejan venne lanciato da lui: «Bodiroga? Meglio di Magic Johnson».
Un 2,05 metri che gioca da guardia, palleggia, ispira, tira, difende e che, insomma, sa fare tutto, dove lo trovi? Al momento attuale lo trovi a Barcellona, contratto plurimiliardario, casa che guarda le Ramblas. Dejan, con quell’aplomb da ragioniere che prova a tenersi in forma sulla cyclette, non si è mai preoccupato delle apparenze. Lui, 29enne di sostanza, all’immancabile domanda «perché non giochi nella Nba?» risponde con un sorriso: «Vedi, una volta in America dicevano che ero lento. La volta dopo che non potevo giocare ai loro ritmi. Ogni volta una scusa diversa. Sai cosa? A me non importa nulla della Nba: sono molto contento della mia carriera e non sento la necessità di questa sfida».
Si ferma, un lampo da killer, lo stesso visto sul campo, attraversa il suo sguardo. Procede: «E poi guarda: sono venuto a Indianapolis, ho battuto il Dream Team a casa sua, ho rivinto il titolo. La prossima volta la Nba porti le sue prime linee, così ne riparliamo».
Dejan sa di essere imbattibile nella leadership . Nel momento in cui la squadra barcollava, lui se l’è caricata in spalla. «La Jugoslavia ha due o tre giocatori che possono fare questo: io sono tra di loro. Forse non abbiamo giocato sempre bene, però quando siamo in difficoltà emerge il meglio di noi. Eravamo mezzi morti, ma sapevamo sempre che potevamo vincere».
Una tripla che ha capovolto l’inerzia a 2’09’’ dalla fine, nove punti di fila (su 27 totali): ecco il Bodiroga decisivo. No, non è il caso di parlare di furto. Dejan ha parole dolci per gli argentini («Una squadra formidabile e un popolo da seguire con affetto, per i problemi che sta vivendo»), e un po’ meno per i padroni di casa: «Il basket non è solo potenza; il basket comincia qui, nel cervello». E si tocca la tempia guardando dritto nella telecamera. Dedicato alla Nba e agli americani: per vedere di nuovo Bodiroga, si attrezzino con una buona parabola.
Riccardo Romani
In questa ristretta cerchia di persone si annovera Dejan Bodiroga, uomo di cui i serbi stamperanno la faccia in un ex-voto. Segnando 16 punti nell’ultimo quarto, ha strappato l’oro dal collo degli avversari. Quelli della rete Nbc che trasmettevano la partita dal vivo hanno preso a spulciare gli almanacchi: ma chi diavolo è questo B-o-d-i- r-o-g-a? Perché non sta nella Nba? Se Boscia Tanjevic fosse stato a Indianapolis, avrebbe ripetuto loro la frase pronunciata a Trieste quando il 19enne Dejan venne lanciato da lui: «Bodiroga? Meglio di Magic Johnson».
Un 2,05 metri che gioca da guardia, palleggia, ispira, tira, difende e che, insomma, sa fare tutto, dove lo trovi? Al momento attuale lo trovi a Barcellona, contratto plurimiliardario, casa che guarda le Ramblas. Dejan, con quell’aplomb da ragioniere che prova a tenersi in forma sulla cyclette, non si è mai preoccupato delle apparenze. Lui, 29enne di sostanza, all’immancabile domanda «perché non giochi nella Nba?» risponde con un sorriso: «Vedi, una volta in America dicevano che ero lento. La volta dopo che non potevo giocare ai loro ritmi. Ogni volta una scusa diversa. Sai cosa? A me non importa nulla della Nba: sono molto contento della mia carriera e non sento la necessità di questa sfida».
Si ferma, un lampo da killer, lo stesso visto sul campo, attraversa il suo sguardo. Procede: «E poi guarda: sono venuto a Indianapolis, ho battuto il Dream Team a casa sua, ho rivinto il titolo. La prossima volta la Nba porti le sue prime linee, così ne riparliamo».
Dejan sa di essere imbattibile nella leadership . Nel momento in cui la squadra barcollava, lui se l’è caricata in spalla. «La Jugoslavia ha due o tre giocatori che possono fare questo: io sono tra di loro. Forse non abbiamo giocato sempre bene, però quando siamo in difficoltà emerge il meglio di noi. Eravamo mezzi morti, ma sapevamo sempre che potevamo vincere».
Una tripla che ha capovolto l’inerzia a 2’09’’ dalla fine, nove punti di fila (su 27 totali): ecco il Bodiroga decisivo. No, non è il caso di parlare di furto. Dejan ha parole dolci per gli argentini («Una squadra formidabile e un popolo da seguire con affetto, per i problemi che sta vivendo»), e un po’ meno per i padroni di casa: «Il basket non è solo potenza; il basket comincia qui, nel cervello». E si tocca la tempia guardando dritto nella telecamera. Dedicato alla Nba e agli americani: per vedere di nuovo Bodiroga, si attrezzino con una buona parabola.
Riccardo Romani