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Coldebella, il «duro» del basket

«Questa Olimpia riconquisterà Milano»

MILANO - Il volto nuovo dell’Olimpia e del basket milanese? Trovatelo, paradossalmente, tra i cavalli di ritorno: da Warren Kidd a quell’Hugo Sconochini che fu apprezzato già ai tempi dell’era Tanjevic e che lo sarà ancora di più adesso che è diventato vicecampione del mondo con l’Argentina. Chi l’ha detto che la minestra riscaldata è una cattiva minestra? Ma se proprio c’è il desiderio di sganciarsi dal passato e di battere piste inedite, ecco bell’e pronto Claudio Coldebella, con il suo nuovo look dai capelli fluenti. Coldebella, il veterano che a 34 anni si sente ancora tanto utile, potendo garantire esperienza e qualità in regia in alternativa al folletto Simpkins. Il «duro» per antonomasia della pallacanestro italiana. Il ragazzo così a modo e gentile al di fuori del campo, ma risoluto (tendente al rissoso, precisano i suoi detrattori) quando è sul parquet con la palla in mano. Il giocatore che anni fa non esitò a venire alle mani con un americano che l’aveva provocato (George McCloud), in una finale scudetto che sarà ricordata soprattutto per quelle scintille.
«La patente di duro in realtà non mi fa impazzire di gioia, però me la tengo se serve a spiegare che quando gioco uso un atteggiamento mentale forte. E che non ci sto mai a perdere». Tanto per chiarire, Claudio ha chiarito. E fa sapere, sempre con garbo, che l’argomento per lui è esaurito. Ridacchia: «Cercate di capirmi, è una vita che ne sento di cotte e di crude...».
Gratta, gratta, si scopre che anche il suo modo di interpretare il basket c’entra con l’addio prematuro alla Virtus, la squadra che gli ha dato tre scudetti, la squadra nella quale non gli sarebbe dispiaciuto rimanere ancora. Correva l’anno 1996... «e io già da un po’ ero piuttosto seccato per il fatto di essere nel mirino di un certo tipo di critica. Intendiamoci, ci sono anche altre ragioni alla base della scelta di trasferirmi in Grecia. Ma sul piatto della bilancia ho messo pure una riflessione: io ho dato tanto e di più, a quel club. Ma sono stato difeso solo da una persona: Alberto Bucci, l’allenatore».
Acqua passata. In Grecia era atteso non solo dalla passione di un movimento cestistico «per tanti aspetti esemplare e da imitare», ma anche da tifosi «che mi hanno accolto senza fischiarmi, considerandomi uno di loro» e soprattutto da Cristina. Personaggio icona della televisione greca, è diventata una moglie che, d’ora in poi, farà la pendolare tra Milano e Atene, dove i Coldebella continuano ad abitare. «È probabile che a fine carriera andrò a vivere in Grecia, ma per ora ci arrangiamo. In questi giorni Cristina è qui con me, poi rientrerà a causa dei suoi impegni di lavoro. Sì, la decisione di tornare in Italia mi costa qualche sacrificio. Ma ne valeva la pena».
Adesso che veste la maglia biancorossa dell’Olimpia, senza troppo preoccuparsi di aver scelto il numero 8, già appartenuto al leggendario Mike D’Antoni, Claudio giura di sentirsi al posto giusto al momento giusto. «Milano ha bisogno di fiducia e di solidità dopo l’annata strana che ha vissuto e dalla quale è uscita con il morale a pezzi. Io credo di poterla aiutare. Tra l’altro, e non sembri piaggeria, nel passato ho tifato per l’Olimpia. Meglio: tifavo per Dino Meneghin, riferimento per i giocatori della mia generazione. Ma attenzione: il Meneghin di Milano, non quello di Varese. Solo quando è passato all’Olimpia la sua figura di campione mi è apparsa irresistibile».
Ma come la mettiamo con i tifosi che si ricordano ancora del Coldebella «cattivo» (non duro...) che pilotava le odiate V-nere? Abbozza: «Nella vita si voltano tante pagine...». Ed è comunque sincero nel pronosticare soddisfazioni. Del resto, fin qui la squadra, nonostante l’assenza di Sconochini e i guai fisici che stanno bloccando Garnett, ha lasciato una buona impressione: lo scorso fine settimana nel Trofeo Lombardia ha sconfitto Cantù, rivelazione della scorsa stagione, e ha perso d’un soffio al supplementare contro Varese.
Questa Olimpia vale insomma un atto di fede, ora che la campagna abbonamenti è appena cominciata. «Farò un discorso onesto. Dobbiamo ritagliarci il consenso, senza ossessionarci con la concorrenza di Inter e Milan. A Madrid e Barcellona il grande basket non convive forse con il grande calcio? Starà a noi risalire la classifica del gradimento e questa squadra ha tutto per farlo. Stiamo prendendo la mentalità dell’allenatore, Caja: un passo alla volta, ma con tenacia. Nessun proclama, nessuna promessa se non quella di arrivare ai playoff. E solo un numero, da spendere: 100. Nel senso della percentuale di impegno che dovremo dedicare alla causa della rinascita di Milano».
Flavio Vanetti
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