PESARO — La partita contro Jesi ha messo in luce una carenza di leadership nell'ultimo quarto. Può essere un problema? La risposta la dà Marco Crespi: «Avere dieci giocatori può creare un problema di deresponsabilizzazione — afferma il tecnico —. Ma per tre giocatori c'è ora la certezza, a meno di particolari casi tecnici, del quintetto: e sono Pecile, Richardson e Beric».
Di quanto può aumentare il rendimento di Richardson con gli ultimi giorni di allenamento?
«Tanto. Può anche raddoppiare, perchè oltre a questa settimana di avvicinamento a Siena, il giocatore aveva nelle gambe solo cinque giorni passati in palestra».
Appare come un atleta di grande importanza. E' vero?
«Sì, perchè è veramente ottimo anche sotto il profilo difensivo. Se il suo talento si addizionerà alla classe di Beric, per la squadra sarà un grande vantaggio. E per quello che si è visto fino ad ora sul campo, la sensazione è che fra i due c'è simpatia tecnica. Si cercano».
Cosa deve ancora capire Richardson?
«In america questi tipi di giocatori li chiamano i newyorchesi, cioè quelli che sanno già tutto. Ora a questo fattore deve aggiungere l'eccitazione che può dare questa piazza, lo spirito di Pesaro. Una cosa importante anche per lui, per crearsi una importante carriera in Europa. E se farà grandi cose, costruirsi anche un ritorno nell'Nba».
Dove finisce il pessimismo e dove inizia l'ottimismo dopo questo precampionato?
«Penso che siano sensazioni soggettive e non avere un valore assoluto. Dico però che dovremmo essere una squadra da battaglia che cerca il combattimento sia a livello fisico che mentale. Anche con se stessi perchè questo fattore sarà ancora più importante del contenuto tecnico».
Parole che fanno subito pensare a McGhee...
«Ha tutto per emergere, ma ha bisogno di trovare dentro se stesso il furore agonistico».
Partire subito contro Siena non è bel battesimo...
«Forse era peggio iniziare contro la Benetton. Ma anche Siena, per tutti i grandi obiettivi che si pone e per l'alta qualità dell'organico, è un cliente sicuramente antipatico».
Dove la squadra deve crescere in generale?
«Nel capire e nel gestire le ultime palle, quelle che fanno la differenza quando la partita s'infila sul binario dell'equilibrio. Cose che contano poco nel campionato di college dove una partita non cambia nulla, così come nell'Nba, tolti i playoff. Qui è tutto diverso».
Maurizio Gennari
Di quanto può aumentare il rendimento di Richardson con gli ultimi giorni di allenamento?
«Tanto. Può anche raddoppiare, perchè oltre a questa settimana di avvicinamento a Siena, il giocatore aveva nelle gambe solo cinque giorni passati in palestra».
Appare come un atleta di grande importanza. E' vero?
«Sì, perchè è veramente ottimo anche sotto il profilo difensivo. Se il suo talento si addizionerà alla classe di Beric, per la squadra sarà un grande vantaggio. E per quello che si è visto fino ad ora sul campo, la sensazione è che fra i due c'è simpatia tecnica. Si cercano».
Cosa deve ancora capire Richardson?
«In america questi tipi di giocatori li chiamano i newyorchesi, cioè quelli che sanno già tutto. Ora a questo fattore deve aggiungere l'eccitazione che può dare questa piazza, lo spirito di Pesaro. Una cosa importante anche per lui, per crearsi una importante carriera in Europa. E se farà grandi cose, costruirsi anche un ritorno nell'Nba».
Dove finisce il pessimismo e dove inizia l'ottimismo dopo questo precampionato?
«Penso che siano sensazioni soggettive e non avere un valore assoluto. Dico però che dovremmo essere una squadra da battaglia che cerca il combattimento sia a livello fisico che mentale. Anche con se stessi perchè questo fattore sarà ancora più importante del contenuto tecnico».
Parole che fanno subito pensare a McGhee...
«Ha tutto per emergere, ma ha bisogno di trovare dentro se stesso il furore agonistico».
Partire subito contro Siena non è bel battesimo...
«Forse era peggio iniziare contro la Benetton. Ma anche Siena, per tutti i grandi obiettivi che si pone e per l'alta qualità dell'organico, è un cliente sicuramente antipatico».
Dove la squadra deve crescere in generale?
«Nel capire e nel gestire le ultime palle, quelle che fanno la differenza quando la partita s'infila sul binario dell'equilibrio. Cose che contano poco nel campionato di college dove una partita non cambia nulla, così come nell'Nba, tolti i playoff. Qui è tutto diverso».
Maurizio Gennari
Fonte: Il Resto del Carlino