Sono quattromila, alla fine. Forse 4500, dipende dai dati - organizzatori o questura -, comunque assai moderati e morbidi, perché contestare stanca e qui c´è la squadra, accidenti. Da 12 milioni di euro, o quasi. E il manicheismo prevede: da un lato la società, dall´altro i giocatori. Così pure, se mancano i simboli, ammainati o partiti, nessuno scatena rivolte dei rolex né proteste contro il nuovo corso. Non ci sono neppure striscioni, rabbie o rancori; piuttosto l´applauso, gli applausi, che avrebbero voglia. C´è affetto soffuso, pace dei sensi, un inizio da tortellini e spumante. E quando entra il presidente Madrigali, così duramente avversato, è l´indifferenza il sentimento più evidente. Moglie e madre l´accompagnano, in parterre lo salutano, la gente passa e guarda in campo. «L´importante non è che io sia contento, ma che quelli che ci sono, questi spettatori, abbiano rinnovato l´abbonamento», dice lui. Magari non è proprio così, visto l´effluvio di inviti Carisbo, che deve aver aiutato molto l´ingresso, e c´è chi dice raddoppiato le presenze. In qualche modo, il panorama si è riempito.
Però si capisce che, sui gradoni, c´è un atteggiamento prevalente: tutti aspettano. Non proprio Godot, ma una ragione per ritrovarsi, come prima, facendo finta di niente. C´è questo clima sospeso, al debutto della Virtus. Sospeso tra la festa, ai vecchi, ai nuovi, agli infortunati, e la diffidenza, perché le antiche radici e il cuore bianconero, sempre evocato, ovunque, avrebbe cessato di battere con l´addio a Messina e Brunamonti. Niente grande freddo, comunque. Piccolo tiepido, magari. Che s´accende quando nell´occhio di bue arriva Rigaudeau, in pantaloncini, presentato con la squadra, da Guido Bagatta: «Sta bene, corre. Due risonanze magnetiche negative, tra due settimane in campo». Ovazione per Antoine, allora. Ma la gente qualche sassolino se lo leva, aprendo il capitolo diffidenza: qualche fischio a Boscia (e Madrigali-Lombardi, con facile intuito, nell´arena non scendono), qualche insulto isolato per l´ex fortitudino Attruia, ancora fischi, più udibili, quando Bagatta presenta Sekularac come «il nuovo Danilovic». Troppo, per loro. Non per il Gruppo Vincere, fedele alla linea, che fa partire i tamburi, mentre i Forever non ci sono, come promesso.
Madrigali si guarda intorno e ripensa forse alle serate passate, dal 13 marzo in poi. Ora è un´altra stagione, nonostante tutto. «Non accetto lezioni di stile, pochi me le possono dare. Invece tengo presente quel che m´hanno detto i tifosi sull´informazione, di aver spiegato poco. E´ stato un difetto, lo riconosco. L´ho fatto per proteggere la società, perché i panni sporchi vanno lavati in famiglia, ma se vogliono essere più informati può darsi che lo faccia, anche se venerdì non penso di aver convinto nessuno». Più che Cecchi Gori, pare Gazzoni, in una foto di qualche anno fa. Solo, come lo era il presidente rossoblù, ma «lui è meglio di me», dice il bianconero schivando il paragone. E aggiunge: «Ritengo che questa sia una buona squadra, ma serve un mese, un mese e mezzo, anche per poter fallire qualche prova. Ricordo che due anni fa servì qualche mese prima di arrivare a quel +37 del derby. Gli abbonamenti restano aperti, magari la gente avrà voglia di venire. Io ho cercato di fare una squadra all´altezza della tradizione, da virtussino esigente». La gente, intanto, si vede la partita e mette in aspettativa cinque mesi di sentimenti complessi. Più facile così, in questa prima notte. Poi si vedrà.
Valentina Desalvo
Però si capisce che, sui gradoni, c´è un atteggiamento prevalente: tutti aspettano. Non proprio Godot, ma una ragione per ritrovarsi, come prima, facendo finta di niente. C´è questo clima sospeso, al debutto della Virtus. Sospeso tra la festa, ai vecchi, ai nuovi, agli infortunati, e la diffidenza, perché le antiche radici e il cuore bianconero, sempre evocato, ovunque, avrebbe cessato di battere con l´addio a Messina e Brunamonti. Niente grande freddo, comunque. Piccolo tiepido, magari. Che s´accende quando nell´occhio di bue arriva Rigaudeau, in pantaloncini, presentato con la squadra, da Guido Bagatta: «Sta bene, corre. Due risonanze magnetiche negative, tra due settimane in campo». Ovazione per Antoine, allora. Ma la gente qualche sassolino se lo leva, aprendo il capitolo diffidenza: qualche fischio a Boscia (e Madrigali-Lombardi, con facile intuito, nell´arena non scendono), qualche insulto isolato per l´ex fortitudino Attruia, ancora fischi, più udibili, quando Bagatta presenta Sekularac come «il nuovo Danilovic». Troppo, per loro. Non per il Gruppo Vincere, fedele alla linea, che fa partire i tamburi, mentre i Forever non ci sono, come promesso.
Madrigali si guarda intorno e ripensa forse alle serate passate, dal 13 marzo in poi. Ora è un´altra stagione, nonostante tutto. «Non accetto lezioni di stile, pochi me le possono dare. Invece tengo presente quel che m´hanno detto i tifosi sull´informazione, di aver spiegato poco. E´ stato un difetto, lo riconosco. L´ho fatto per proteggere la società, perché i panni sporchi vanno lavati in famiglia, ma se vogliono essere più informati può darsi che lo faccia, anche se venerdì non penso di aver convinto nessuno». Più che Cecchi Gori, pare Gazzoni, in una foto di qualche anno fa. Solo, come lo era il presidente rossoblù, ma «lui è meglio di me», dice il bianconero schivando il paragone. E aggiunge: «Ritengo che questa sia una buona squadra, ma serve un mese, un mese e mezzo, anche per poter fallire qualche prova. Ricordo che due anni fa servì qualche mese prima di arrivare a quel +37 del derby. Gli abbonamenti restano aperti, magari la gente avrà voglia di venire. Io ho cercato di fare una squadra all´altezza della tradizione, da virtussino esigente». La gente, intanto, si vede la partita e mette in aspettativa cinque mesi di sentimenti complessi. Più facile così, in questa prima notte. Poi si vedrà.
Valentina Desalvo
Fonte: La Repubblica