Hugo Sconochini, tra domani e domenica riparte il campionato di basket. Sarà un torneo firmato da voi argentini, la «scuola» che per prima ha sconfitto il Dream Team e che al Mondiale è arrivata seconda? «Me lo auguro. Non c’è più Ginobili, ma Nicola, che ha rinunciato alla nazionale, è ancora a Treviso. Poi io a torno a Milano, mentre Varese ha scelto Osella e il giovane Marin. Infine, Palladino sarà una stella di Napoli e Delfino, alla Fortitudo, esploderà. Sì, spero di vedere... molto tango».
Smaltita la rabbia per quel fischio nella finale iridata che, a suo avviso, ha privato l’Argentina del titolo?
«Il tempo è una buona medicina, ma ci vorranno dei mesi per scordare quella decisione. Certo, con il senno di poi siamo felici, perché alla vigilia ci saremmo accontentati del terzo posto. Ma quando sei lì, ad accarezzare la storia e un signore con il fischietto ti allontana dalla meta, ecco, tutto ciò è inaccettabile».
Argentina nuovo faro mondiale del basket?
«Non il faro, ma uno dei fari. Come dimenticare i neozelandesi, i tedeschi e anche gli spagnoli, nonostante questi ultimi non siano saliti sul podio? Il bello di questo Mondiale è che ha aperto vari fronti».
Sconochini è di nuovo milanese. Già lo fu, verso la metà degli anni ’90, per due stagioni: la prima con D’Antoni coach, la seconda con Tanjevic alla guida.
«Arrivavo da Reggio Calabria, Milano aveva ceduto Pittis e aveva acquistato me. Una responsabilità enorme, per un ragazzino che, però, aveva voglia di sfondare. Ricordo anche l’impatto con Tanjevic. Mi guardò e mi disse: "Hugo, con quei capelli a coda di cavallo non entrerai mai nella mia palestra". Andai dal parrucchiere...»
Più importante la prima o la seconda esperienza milanese?
«Dico questa che comincia, perché è una pagina nuova e a me piacciono le avventure che iniziano. Della "prima" Milano ricorderò una cosa su tutte: è stato in quel periodo che ho conosciuto mia moglie, che quindici mesi fa mi ha dato Matilde. La bambina mi ha cambiato la vita: ora di lavoro faccio il giocatore e il papà».
Se tornasse indietro, rimarrebbe a Milano o ripercorrerebbe il cammino che l’ha portata prima a Roma e quindi a Bologna?
«La Milano che lasciai avrebbe poi vinto lo scudetto, nel 1996. Ma è anche vero che dopo è piombata nei guai. Certo, non si riscrive mai la storia a posteriori, però ho la sensazione di aver fatto la scelta giusta, dal momento che Hugo Sconochini è cresciuto come giocatore e ha vinto parecchio».
Una sospensione per doping, con la beffa di un appello andato male e di una punizione resa più dura. Se non ci fosse stata quella vicenda, lei sarebbe ancora uno dei cardini della Virtus Bologna?
«Non lo so e non lo saprò mai. Ma più ci ripenso e più mi incavolo, perché non sono stato tutelato a dovere. Mi hanno fatto passare per uno scorretto, per un bandito...»
È vero che già un anno fa era in procinto di tornare a Milano?
«Sì, la trattativa c’è stata. Ma sono mancate le condizioni per concretizzarla».
Ora lei è il nuovo capitano di un’Olimpia che vuole uscire dal coma di risultati e riguadagnare il calore dei tifosi.
«Bisognerà dimenticare che la squadra si è salvata all’ultimo secondo dell’ultima partita della stagione: c’è il rischio di precipitare nel basso profilo, o addirittura nella paura che quel disastro si ripeta. No, guardiamo avanti con fiducia».
Quale Sconochini ritroverà Milano?
«Mi farò in quattro per impegno, lavoro e professionalità. Darò battaglia, insieme ai compagni: la squadra mi piace, è equilibrata, scoppiettante e sorprenderà».
Un nome su tutti?
«Martin Rancik. Non lo conoscevo, ma se esplode diventa un fenomeno».
La chiamavano Hugo-canguro, ai tempi.
(risata)«Ora sono Hugo-un po’ meno canguro: l’eta avanza».
Divagazione calcistica: seguirà Milan o Inter?
«Be’, l’Inter. Ci sono gli argentini e a me piace come allena Cuper».
Se la sente Ronaldo...
«È giusto che ognuno abbia le sue verità. Ed è anche bene che la gente non conosca fino in fondo come sono andate le cose».
Ma lei è interista?
«No, sono romanista e tifo "Batigol"»
Nasconda la bandiera, di questi tempi...
«Ci riprenderemo, tranquilli».
A proposito di scudetto: chi lo vincerà tra i canestri?
«Tutti dicono Treviso, che ce l’ha sulle maglie, o Siena, molto rafforzata. Ci sta, ma io sento profumo di sorprese».
Non a Milano, peraltro.
«Caja è un tecnico che alla fine "fa" risultato: è duro, ma con lui mi trovo bene. Lo scudetto è ancora lontano, sulla carta. Tuttavia il nostro obiettivo non deve essere quello, oggi: l’essenziale sarà dare il massimo, perché è così che si ricomincia».
Un’idea per il nostro basket, che vive un pe riodo un po’ così?
«Copi noi argentini, che abbiamo puntato sui vivai. Ora ci ritroviamo una nazionale giovane, bella, forte. E vincente»
Flavio Vanetti
Smaltita la rabbia per quel fischio nella finale iridata che, a suo avviso, ha privato l’Argentina del titolo?
«Il tempo è una buona medicina, ma ci vorranno dei mesi per scordare quella decisione. Certo, con il senno di poi siamo felici, perché alla vigilia ci saremmo accontentati del terzo posto. Ma quando sei lì, ad accarezzare la storia e un signore con il fischietto ti allontana dalla meta, ecco, tutto ciò è inaccettabile».
Argentina nuovo faro mondiale del basket?
«Non il faro, ma uno dei fari. Come dimenticare i neozelandesi, i tedeschi e anche gli spagnoli, nonostante questi ultimi non siano saliti sul podio? Il bello di questo Mondiale è che ha aperto vari fronti».
Sconochini è di nuovo milanese. Già lo fu, verso la metà degli anni ’90, per due stagioni: la prima con D’Antoni coach, la seconda con Tanjevic alla guida.
«Arrivavo da Reggio Calabria, Milano aveva ceduto Pittis e aveva acquistato me. Una responsabilità enorme, per un ragazzino che, però, aveva voglia di sfondare. Ricordo anche l’impatto con Tanjevic. Mi guardò e mi disse: "Hugo, con quei capelli a coda di cavallo non entrerai mai nella mia palestra". Andai dal parrucchiere...»
Più importante la prima o la seconda esperienza milanese?
«Dico questa che comincia, perché è una pagina nuova e a me piacciono le avventure che iniziano. Della "prima" Milano ricorderò una cosa su tutte: è stato in quel periodo che ho conosciuto mia moglie, che quindici mesi fa mi ha dato Matilde. La bambina mi ha cambiato la vita: ora di lavoro faccio il giocatore e il papà».
Se tornasse indietro, rimarrebbe a Milano o ripercorrerebbe il cammino che l’ha portata prima a Roma e quindi a Bologna?
«La Milano che lasciai avrebbe poi vinto lo scudetto, nel 1996. Ma è anche vero che dopo è piombata nei guai. Certo, non si riscrive mai la storia a posteriori, però ho la sensazione di aver fatto la scelta giusta, dal momento che Hugo Sconochini è cresciuto come giocatore e ha vinto parecchio».
Una sospensione per doping, con la beffa di un appello andato male e di una punizione resa più dura. Se non ci fosse stata quella vicenda, lei sarebbe ancora uno dei cardini della Virtus Bologna?
«Non lo so e non lo saprò mai. Ma più ci ripenso e più mi incavolo, perché non sono stato tutelato a dovere. Mi hanno fatto passare per uno scorretto, per un bandito...»
È vero che già un anno fa era in procinto di tornare a Milano?
«Sì, la trattativa c’è stata. Ma sono mancate le condizioni per concretizzarla».
Ora lei è il nuovo capitano di un’Olimpia che vuole uscire dal coma di risultati e riguadagnare il calore dei tifosi.
«Bisognerà dimenticare che la squadra si è salvata all’ultimo secondo dell’ultima partita della stagione: c’è il rischio di precipitare nel basso profilo, o addirittura nella paura che quel disastro si ripeta. No, guardiamo avanti con fiducia».
Quale Sconochini ritroverà Milano?
«Mi farò in quattro per impegno, lavoro e professionalità. Darò battaglia, insieme ai compagni: la squadra mi piace, è equilibrata, scoppiettante e sorprenderà».
Un nome su tutti?
«Martin Rancik. Non lo conoscevo, ma se esplode diventa un fenomeno».
La chiamavano Hugo-canguro, ai tempi.
(risata)«Ora sono Hugo-un po’ meno canguro: l’eta avanza».
Divagazione calcistica: seguirà Milan o Inter?
«Be’, l’Inter. Ci sono gli argentini e a me piace come allena Cuper».
Se la sente Ronaldo...
«È giusto che ognuno abbia le sue verità. Ed è anche bene che la gente non conosca fino in fondo come sono andate le cose».
Ma lei è interista?
«No, sono romanista e tifo "Batigol"»
Nasconda la bandiera, di questi tempi...
«Ci riprenderemo, tranquilli».
A proposito di scudetto: chi lo vincerà tra i canestri?
«Tutti dicono Treviso, che ce l’ha sulle maglie, o Siena, molto rafforzata. Ci sta, ma io sento profumo di sorprese».
Non a Milano, peraltro.
«Caja è un tecnico che alla fine "fa" risultato: è duro, ma con lui mi trovo bene. Lo scudetto è ancora lontano, sulla carta. Tuttavia il nostro obiettivo non deve essere quello, oggi: l’essenziale sarà dare il massimo, perché è così che si ricomincia».
Un’idea per il nostro basket, che vive un pe riodo un po’ così?
«Copi noi argentini, che abbiamo puntato sui vivai. Ora ci ritroviamo una nazionale giovane, bella, forte. E vincente»
Flavio Vanetti