FABRIANO — Buoni giocatori si diventa, campioni si nasce, nella classe e nella testa. Nella testa di Rodney Monroe in molti avrebbero voluto entrare la scorsa settimana dopo l'«incomprensione» (chiamiamola bonariamente così, almeno nessuno si arrabbia…) con Lasi e quella sostituzione digerita a fatica nel finale caldo di Udine.
Per quattro, cinque giorni tutti a chiedersi chissà come reagirà Rodney contro la Scavolini, chissà se «giocherà contro» come spesso capita a quegli americani insofferenti alla minima difficoltà, chissà se avrà ancora voglia di dimostrare a se stesso, al coach, ai tifosi di essere sul trono dei cannonieri della massima serie a pieno titolo.
Tanti dubbi, che non aveva fugato nemmeno la sua meravigliosa stagione — la prima, per chi lo avesse dimenticato, nell'A1 italiana — scandita dal ritmo di 22 punti a partita e accompagnata dalla possibile conquista del titolo di primo realizzatore del campionato a fine regular season, alla faccia delle 34 primavere. Non bastava tutto questo, né la sua nuova dimensione di applicatissimo difensore e combattente (i 5 rimbalzi a partita per un «mingherlino» come lui valgono doppio...), tantomeno la consapevolezza, ormai diffusa, che la sua impressionante affinità elettiva con l'altro leader Thompson fosse figlia di qualità umane — e non solo cestistiche — fuori dal comune.
Dopo tre campionati da fenomeno in maglia fabrianese, serviva qualcosa in più, una nuova, grande prova d'amore ai colori sociali nella sfida di prestigio con i cucinieri. E così, sul campo, venne il giorno delle risposte. Risposta numerica: il moretto di Baltimore è il mattatore del derby con 38 punti, 7 rimbalzi, 4 recuperi, 6 assist e un «alieno» 51 in valutazione.
Risposta umana: Lasi e Monroe (coi fatti e non solo con le parole di circostanza) si sono riappacificati sul serio, ribadendo che i valori morali di un gruppo, a volte valgono anche più di qualsiasi dotazione di talento.
Risposta tecnica: Rodney Monroe è nato campione, nella classe e nella testa.
a.d.m.
Per quattro, cinque giorni tutti a chiedersi chissà come reagirà Rodney contro la Scavolini, chissà se «giocherà contro» come spesso capita a quegli americani insofferenti alla minima difficoltà, chissà se avrà ancora voglia di dimostrare a se stesso, al coach, ai tifosi di essere sul trono dei cannonieri della massima serie a pieno titolo.
Tanti dubbi, che non aveva fugato nemmeno la sua meravigliosa stagione — la prima, per chi lo avesse dimenticato, nell'A1 italiana — scandita dal ritmo di 22 punti a partita e accompagnata dalla possibile conquista del titolo di primo realizzatore del campionato a fine regular season, alla faccia delle 34 primavere. Non bastava tutto questo, né la sua nuova dimensione di applicatissimo difensore e combattente (i 5 rimbalzi a partita per un «mingherlino» come lui valgono doppio...), tantomeno la consapevolezza, ormai diffusa, che la sua impressionante affinità elettiva con l'altro leader Thompson fosse figlia di qualità umane — e non solo cestistiche — fuori dal comune.
Dopo tre campionati da fenomeno in maglia fabrianese, serviva qualcosa in più, una nuova, grande prova d'amore ai colori sociali nella sfida di prestigio con i cucinieri. E così, sul campo, venne il giorno delle risposte. Risposta numerica: il moretto di Baltimore è il mattatore del derby con 38 punti, 7 rimbalzi, 4 recuperi, 6 assist e un «alieno» 51 in valutazione.
Risposta umana: Lasi e Monroe (coi fatti e non solo con le parole di circostanza) si sono riappacificati sul serio, ribadendo che i valori morali di un gruppo, a volte valgono anche più di qualsiasi dotazione di talento.
Risposta tecnica: Rodney Monroe è nato campione, nella classe e nella testa.
a.d.m.
Fonte: Il Resto del Carlino