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Pozzecco chi?

“Pozzecco chi ??” Questa, se andate indietro con la memoria, era la frase più gettonata a Varese nell’estate di otto anni fa. Nel luglio 1994, infatti, accompagnato da mille dubbi e altrettante perplessità, acquistato da Tony Cappellari, “atterrava” in città Gianmarco Pozzecco. Un “alieno” del mondo del basket che, nel lungo periodo trascorso da noi, si è reso protagonista di una metamorfosi sensazionale che, se descritta, potrebbe fare invidia a quelle scritte da Apuleio o da Kafka.
Ricordo bene quell’estate – dice Pozzecco – perché, insieme al sottoscritto, si spostò, da Torino a Bologna, anche Abbio. Solo che del trasferimento di Picchio alla Virtus parlarono tutti, per giorni. Il mio a Varese, invece, venne liquidato con un paio di righe. Eppure, vi assicuro che nella seconda parte della stagione, specialmente nei playout, io giocai anche meglio dell’ex bolognese. La differenza però era nel nome. Lui era “già” Abbio: un predestinato.
Per quali strade arrivò a Varese ?
Forse non ci crederete, ma devo dire grazie a Cedro Galli. Cappellari aveva già avuto informazioni sul mio conto da Ferracini, ma la spinta giusta arrivò proprio da Cedro che, per caso a Livorno, venne a vedermi e disse a Tony di prendermi perché, come si usa dire, ero “buono, buono”.
E il primo impatto con la Varese del basket ?
Assolutamente pazzesco – risponde il “Poz” -. All’arrivo Dodo Rusconi fece fare, al sottoscritto che giocava già in A1, un “provino” contro giocatori di serie C e D nei campetti all’aperto del Campus. Poi, non contento, mi spedì insieme a Bellina, un altro giocatore in prova all’epoca, su di corsa al Sacromonte. Non capivo questi comportamenti, ma mi adeguavo.
Corse in salite uguale Pila…
Pila mi ricorda il primo, massacrante, raduno con la Pallacanestro Varese. Rusconi, che aveva costruito una squadra di grandi lavoratori, dava la sveglia alle sette e mezzo, entrava in camera ad aprire le finestre e iniziavano le “danze”. Così a me toccava inseguire per tutta la Val d’Aosta le “caprette di montagna”: Tony Bulgheroni, Conti e Savio. Tutto sotto la regia di Cecco Lenotti che non riusciva a capire come mai noi facessimo così fatica. E io a dirgli: “ Grazie, Cecco, col fisico che ti ritrovi. Sembri Rambo… Non vi dico cosa succedeva in fondo al gruppo con Damiao e Morena, per non parlare di Merli che ogni cinque metri si fermava a vomitare. Comunque, quel lavoro sfiancante, ci permise di mettere benzina e arrivare “comodi” fino ai playoff.
Il primo impatto da cittadino ?
Più che positivo perché era tempo di vacanze e Varese era splendida: cielo terso, poco traffico, quiete assoluta e, così deserta, mi sembrava più piccola di quanto non fosse in realtà.
E il primo incontro con i varesini ?
Mi avevano raccontato di una città diffidente, con un cuore difficile da conquistare, ma io questa cosa non l’ho mica mai avvertita. Anzi. Bastarono un paio di settimane per fare amicizia con tutti e sentirmi completamente a mio agio. Cosa che per esempio, non mi capitò a Udine, una città veramente triste, o a Livorno, che a mio avviso è decisamente più chiusa di Varese.
Dopo tanti anni di permanenza, se ne avesse la possibilità, cosa cambierebbe della città ?
Farei qualcosa per renderla più viva, la sera. Non ci sono discoteche e locali di aggregazione notturna e, spesso, dopo una certa ora, è anche difficile mangiare qualcosa. Insomma, mi piacerebbe una Varese più movimentata anche se, non lo nego, la sua tranquillità, per noi sportivi, rappresenta un vantaggio. Poi, a pensarci bene, Milano è così vicino….
Torniamo a parlare di pallacanestro e del Pozzecco che a Varese si è fatto la fama di “mangiallenatori”. Alla fine del viaggio, si sente più vittima o carnefice ?
Carnefice, anche se l’espressione è un po’ forte e non rispecchia in pieno la realtà. Ho avuto tanti allenatori (nell’ordine Rusconi, Recalcati, Galli, Bianchini, Danna, Lombardi, Sacco, Colombo, Beugnot ndr), ma tra tutti questi mi sento in debito solo con Bianchini col quale non mi sono comportato molto bene. Anzi, per dirla tutta, in modo indegno.
Dicono anche con Galli…
Quello di Cedro è un discorso a parte e lui non ha colpe. Il fatto è che dopo la vittoria dello scudetto ero completamente fuori di testa e per un anno ho vissuto su un altro pianeta. Quello che voglio dire è che se ad allenare quella squadra ci fosse stato Phil Jackson il risultato non sarebbe cambiato. E’ pur vero che, col senno di poi, mi rendo conto che i miei comportamenti hanno finito col danneggiare anche Cedro. Tuttavia, al contrario di quello che qualcuno ha insinuato, nego in modo deciso che certi atteggiamenti fossero frutto di calcolo o, peggio, di subdola volontà. E’ stata una situazione così e mi dispiace che a farne le spese sia stato un mio amico come Cedro.
E Danna ?
No, con Federico è una storia ancora diversa. Danna e io vedevamo i problemi della squadra in modo opposto e non abbiamo mai trovato un punto di intesa comune. Lui era convinto, lo è ancora, che molte responsabilità fossero mie. Io ribattevo, ribatto ancora, che quella squadra fosse sostanzialmente scarsa. Alla fine credo i fatti diedero ragione al sottoscritto e a Pigionatti che scriveva: mercato di A2, squadra da A2… Infine, nel rapporto tra me e Danna, c’è una piccola giustificazione, che è anche un piccolo segreto che rivelerò solo a fine carriera.
Altro capitolo: i compagni di squadra
E’ un capitolo che mi rende orgoglioso perché, se nei confronti di alcuni tecnici ho commesso degli errori, con i miei compagni non sento di avere debiti o motivi di rammarico. Ne ho avuti tantissimi e con alcuni di loro, ancora adesso, sono molto amico. Vale per ragazzi come Loncar, Mrsic, Foiera, Edwards, Panichi, De Pol, Kisurin, il povero Ravaglia, Damiao, Bulgheroni.
In generale ho sempre avuto rapporti eccellenti con tutti e se c’è una cosa che mi ferisce è, come successo nella passata stagione, sentire qualcuno di loro che mi critica. Non credo di meritarlo
.
Da noi è diventato un personaggio da copertina e sono in molti quelli che, questa cosa, non gliela perdonano…
E per certi versi hanno ragione perché, in un dato momento della mia vita, il fatto di essere diventato un personaggio pubblico ha fatto calare in me la passione per la pallacanestro e ha finito per danneggiare il mio modo di giocare. Pozzecco per fare quello che può, deve essere sempre al mille per cento e, in quel periodo, quello della TV, e dei giornali, e delle discoteche, e delle occasioni pubbliche, ero parecchio sotto lo standard e il mio rendimento nel basket ne ha risentito. Però, ho capito l’errore e mi sono ridimensionato, ma qualche anno fa frenare l’istinto giovanile e la voglia di vedere e provare era veramente difficile.
In quel periodo è passato dalle ragazze acqua e sapone alle star…
Altre esperienze che, in qualche modo, “andavano” fatte e che, alla fine mi hanno lasciato parecchi insegnamenti. Tra tutti il più importante: ho capito, forse un po’ in ritardo, che quello non era il mio mondo. Però, anche lì, uno per poter dire certe cose deve prima provarle.
Da circa un mese è iniziata l’avventura con la Fortitudo: lascia Varese con più debiti o crediti ?
Più debiti, senza dubbio perchè – ammette il “Poz” -, la gente di Varese mi ha accolto benissimo. Alcune famiglie – i Giamberini, i Brazzelli, i Galeandro – mi hanno trattato come un figlio e, lo so, nei loro confronti non sarò mai in grado di sdebitarmi. Poi ci sono Loris che mi ha regalato una rassegna stampa con tutti gli articoli dei miei primi anni a Varese, tutti i tifosi, i Boys e, ancora, Pigionatti che, forse senza volerlo, ha aiutato a creare un personaggio. Ricordo che mi definì “Matthews bianco”. Gran parte della gente rideva, ma io ero orgoglioso di essere paragonato ad un giocatore di così grande talento. Alla fine, probabilmente, abbiamo avuto ragione entrambi….
A Varese non c’è stato l’effetto negativo del dopo-Pozzecco. Anzi, dopo essere arrivata a quota 2000, con l’arrivo di Meneghin, la città ha rilanciato con il record di abbonamenti: cosa pensa ?
E’ giusto così perché Varese impazzisce per il basket, ha vissuto diverse piccole rivoluzioni e, anche nel mio caso, sarebbe stato sbagliato ed eccessivo legarsi ad un personaggio, visto da quelle parti ne sono passati tanti e famosissimi. Inoltre sono particolarmente contento per la famiglia Castiglioni che merita affetto, seguito e passione al massimo grado.
E, con Andrea, Varese dove può arrivare ?
Il “Menego” a casa sua si ritroverà e spingerà Varese verso l’alto ma, attenzione, sempre un gradino sotto la Fortitudo perché io sono meglio. E, adesso – ride il Poz -, non sto scherzando….
Una domanda da “agenzia immobiliare”: che farà del suo appartamento varesino ? Lo vende ?
In un primo tempo ci avevo pensato. Poi, per fare 31, dopo le chiavi dello spogliatoio, a Zanus, ho consegnato anche quelle di casa mia. Gli ho affittato l’appartamento, così quando avrò nostalgia di Varese, un tetto dove farla passare, non mi mancherà mai.
Buona vita, Gianmarco…
Massimo Turconi
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