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Marco Crespi e il basket

«Io, coach fanatico e sognatore chiederò tanto a questa Scavolini»

PESARO – Facile capire perché Marco Crespi sia per molti dei suoi giocatori un esempio da seguire, ma anche perché ad altri proprio non vada giù. «Sono fatto così», ha ripetuto più e più volte nel corso del nostro Forum, in redazione al Messaggero. «Spesso le mie esigenze sono molto alte perché io sono così», spiega il coach. «Vedo che con alcuni giocatori il mio messaggio è più chiaro, ed è più facile gestire i rapporti».
Sembra inquieto il coach della Scavolini, invece è solo un concentrato di emozioni, fortissime emozioni.
«Per come vivo io il basket – come persona e come professionista – credo che sia necessario puntare su un progetto e Pesaro e la Scavolini sono una soluzione molto positiva. Qui c’è una famiglia dietro la società, c’è una identità che ti trasmette qualcosa».
E’ un cultore del “fanatismo", inteso in senso buono, e qui ha trovato un terreno fertile, pane per i denti di uno con dentro la “passionaccia" per la palla a spicchi. «Mi piace allenare gente che abbia voglia di migliorarsi. Ricordo l’annata di Biella. Non solo per l’alta percentuale di vittorie, ma perché avevo la possibilità di allenare un progetto, più che una lista di giocatori più forti possibile».
Non vuole sentire parlare di “sua" squadra, «perché è importante che sia il giocatore a sentirsi protagonista. E’ lui a essere bravo o meno bravo. Richiedo che i miei ragazzi siano sempre più ambiziosi di quelli che stanno loro di fronte, che si allenino per correre un centesimo più veloce, che siano pronti a fare ciò che il compagno si aspetta, che giochino insieme. Al di là delle qualità tecniche, della Cantù dello scorso anno si vedeva che “stava in campo". E la nuova Scavolini dovrà avere uno stile tutto suo di “stare in campo". Ognuno deve essere responsabile di se stesso, nelle squadre che funzionano è sempre così».
Una massima dietro l’altra, ci si potrebbe scrivere un libro.
«Non ho mai avuto e non ho delle aspettative particolari riferite a questa squadra. Il precampionato ha indicato che quando giochiamo con intensità e aggressività il rendimento è decisamente migliore. Il problema è che non abbiamo avuto con continuità questa ferocia mentale. E questo vale anche per gli allenamenti: non che sia mancato l’impegno; forse finora è mancato solo l’obiettivo immediato, e cioè la partita “vera". Di amichevoli ce ne sono state fin troppe, ma non è la stessa cosa. Per me la cosa più importante è sudare e prepararsi per vincere, è un passaggio indispensabile».
Dall’euforia che trasmette, non si direbbe che - ogni tanto - Marco Crespi passi malauguratamente le notti in bianco. «Quando abbiamo perso con Jesi, al Torneo di Senigallia, non ho dormito. Sono fatto così, non mi piace portarmi dentro questa rilassatezza. Non sarebbe onesto, prima di tutto con me stesso e poi con chi mi paga».
Il suo amore – ricambiato – per Pesaro cresce ogni giorno di più.
«La mia casa principale è a Milano, ma sono cresciuto a Busto Arsizio e amo le città piccole, anche perché si guadagnano due ore al giorno, evitando i lunghi spostamenti».
Che cosa la gratifica maggiormente?
«Vedere giocatori che hanno il piacere di allenarsi».
E’ la sua ormai proverbiale “etica del lavoro", forse l’unico dogma del Crespi-pensiero. Com’è maturata la scelta di puntare in modo così “massiccio" su giovani appena usciti dal college?
«Premesso che io e la società ci siamo trovati in piena sintonia sui giocatori da portare a Pesaro, voglio precisare che il nostro obiettivo non erano tanto “i giovani", quanto atleti che avessero stimoli forti e grande voglia di migliorarsi. I ragazzi che abbiamo individuato li conoscevamo bene, e li abbiamo visti giocare in diversi tornei; del resto, nel mondo universitario americano erano ben noti e a nostro avviso anche molto validi, in relazione a quello di cui avevamo bisogno. Con McGhee abbiamo voluto prendere un giocatore forte in post basso, magari con una taglia non da Nba ma giusta per il basket europeo; Gilbert, che avevo visto giocare più volte, mi è sembrato l’uomo giusto per “accendere" la partita in più modi, pur partendo dalla panchina. Christoffersen dev’essere il quarto lungo, inutile caricarlo di aspettative eccessive; ma se un “2,18" con quella velocità conferma anche di avere intelligenza cestistica e grande voglia di imparare ogni giorno, allora sarà un bell’acquisto per il nostro campionato... Comunque in fondo di collegiali nel primo quintetto ce n’è solo uno...».
Però Richardson non può certo definirsi un veterano, ed è un giocatore fondamentale in questa Scavolini.
«Sì, lui dev’essere assolutamente determinante per noi. Vero che ha alle spalle una sola stagione Nba, ma di esperienza ne ha già accumulata, ed anche il fatto di aver cambiato squadra tra i “pro" lo ha arricchito... Quando hai visto più cose sai stare meglio al mondo...».
Non c’è contraddizione tra un “progetto" costruito su giocatori così giovani e i contratti annuali che hanno firmato?
«No, perché il fatto che ci sia l’idea, cosa importantissima, non vuol dire che sarà realizzata perfettamente al primo colpo. Vedremo se sono proprio questi gli uomini giusti per far camminare il nostro progetto. Sarò più che soddisfatto se ad esempio otto di loro, su dieci, avranno avuto alla fine il rendimento che io sogno. Poi certo c’è la possibilità che dopo una grande stagione qualcuno alzi eccessivamente le sue pretese economiche, ma magari la facessero tutti un’annata strepitosa! A quel punto si deciderà il da farsi, ed anche loro, avendo conosciuto Pesaro e la Vuelle, saprebbero cosa andrebbero a perdere, magari per inseguire qualche dollaro in più. I contratti annuali lasciano ai giocatori la fame di conquistarsi qualcosa, e naturalmente possono sempre essere rinnovati, se c’è la volontà comune!».
Camilla Cataldo
Giancarlo Iacchini
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