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Mabo, la mentalità giusta

Niente illusioni: giovedì ad Avellino sarà battaglia

LIVORNO. La domenica del basket è diventata la domenica delle sorprese. Perchè la vittoria della Mabo ce l'aspettavamo un po' tutti, ma una vittoria così schiacciante, beh, quella sinceramente no. E neanche ci aspettavamo un Mc Leod così, autoritario come un generale sovietico, calato nel basket biancorossoeverde come se fosse nato a due passi da via Allende e cresciuto nel cortile dei Salesiani. E poi un Santarossa cinico e letale come quello che in due minuti, domenica, ha scavato il solco sulla partita. Tre bombe a raffica, l'occhio del cobra, che aspetta il momento giusto, guarda il canestro e spara il veleno nella retina avversaria.
Su Mutavdzic, le certezze erano altre. Che il suo semigancio potesse pungere come la coda di uno scorpione lo avevamo scritto. Così è stato. L'orso bianco ha portato solidità difensiva, ha creato spazi in attacco, ha portato giù 11 rimbalzi, ma soprattutto ha messo dentro 13 punti, terzo marcatore di Livorno dopo Mc Leod (21) ed Elliott (17). Forse neanche lui si aspettava che potesse essere così utile e così cercato in attacco. 11 tiri in una partita, chissà da quanto tempo non se li prendeva. L'anno scorso con la Telekom Ankara aveva 8 tentativi di media in Turkish League e 6 in Saporta. L'anno prima, a Wloclawek, anche meno. «Credo che si sia stupito pure lui - dice Banchi - ma deve sapere che noi crediamo nelle sue capacità realizzative». D'altra parte i movimenti che possiede spalle a canestro, con quella stazza da petroliera, garantiscono punti sicuri. Contro aveva un Jeff Stern forse un po' spento, ma a dirgli che non era il caso di accendersi ci ha pensato lui, il Mishone amaranto. Su Elliott poco da dire. Il black di Baltimora ormai è una certezza.
Sono stati i tre strangers ad aprire l'autostrada sulla partita di Livorno. 11-3 in 4 minuti, i tempi delle manine paralizzate e delle partenze in salita davanti al pubblico amico sembrano lontani anni luce. Un bel terzetto, non c'è che dire. Ripensate all'azione del 40-31 per Livorno a inizio terzo quarto: rimbalzo di Mutavdzic, apertura lunga per Keith, la scheggia dell'Ohio, assist per Elliott a segno al volo, in terzo tempo, con Misha che alza le braccia al cielo e muove le dita come un direttore d'orchestra. Il tutto senza mettere una volta la palla a terra. Da applausi.
Erano 13 anni che Livorno non si trovava sul tetto dell'A1. Sarà anche la prima giornata, ma questo primato, almeno per un dì, gustiamocelo. 24 ore non di più, visto che il calendario serve sul vassoio livornese il viaggio infrasettimanale (giovedì) ad Avellino, in questa sorta di binario parallelo (prima due friulane, ora due campane) col calcio amaranto che sabato andrà a far visita alla Salernitana.
Chiariamo il concetto, nessuno si è montato la testa. Perchè una rondine non fa primavera: Mc Leod dovrà confermarsi e mostrare come saprà gestire la manovra a ritmi più bassi («il gioco che abbiamo scelto contro Udine - dice Banchi - prediligeva il suo uno contro uno o il suo penetro e scarico a Misha, per cui non è stato indispensabile orchestrare troppo l'attacco»), così come Santarossa dovrà mostrare di avere ancora tanto veleno nei denti. Va anche considerato come la Snaidero fosse evidentemente indietro di assemblaggio, senza Thompson, con Mulaomerovic che con la squadra aveva fatto appena 4 allenamenti, come ha sottolineato Fabrizio Frates. Il sopravvento ai rimbalzi poi (38 a 24 per Livorno, finalmente) va letto anche nelle cattive percentuali d'attacco degli orange. «Abbiamo costretto Mulaomerovic, Vujacic e Mian a tiri difficili, da lì abbiamo avuto maggiori opportunità di rimbalzi», spiega il coach. Al di là dei singoli, é stata proprio la difesa, i canini con cui Livorno ha azzannato le caviglie friulane ad impressionare. Oltre all'equilibrio di una squadra che ha mandato quattro uomini in doppia cifra. Archiviati primato e due punti, giovedì si ripartirà da lì, da quella faccia da mastini.
Giulio Corsi
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