Soltanto due giornate nel campionato di basket, ed il cielo è caduto sulla terra. Un cataclisma che ha disegnato una nuova geografia. Milano e Roma in testa, forzando la logica, con un miracolo di passione e ragione, assieme a Treviso e Siena, che invece procedono secondo pronostico e programmazione estiva. Il cielo clamorosamente franato, ovviamente, è quello turrito sopra Bologna. Virtus penultima, ma seppellita domenica a Fabriano sotto un terremoto di proporzioni bibliche, e ultima la Fortitudo, che non perdeva le prime due gare in rapida sequenza esattamente da 20 anni, 1982, quando era soltanto una piccola tribù dispersa nel limbo fluttuante tra serie A e B… C’è un punto di contatto, misterioso, che lega questi destini. Un nome. Un uomo. Claudio Coldebella, comandante in campo della Virtus che vinse 3 scudetti consecutivi (1993-’94-’95) e lasciò Bologna nell’estate del 1996. Curioso. La sua battaglia con la Virtus fu segnata dalla sconfitta in semifinale di playoff proprio contro Milano (allora Stefanel, che poi vinse lo scudetto, ultimo acuto milanese, in finale contro la Fortitudo). Adesso che Claudio è tornato, scegliendo Milano per rompere il suo volontario esilio greco, l’Olimpia vola alta e Bologna conosce l’inconsueto sapore della polvere. Coldebella se ne andò per amore (Christina, che adesso è sua moglie, stella della tv greca) e per dispetto... Perché, spesso, la tribù del tifo italiana è una tribù di piagnoni, e non conoscono il senso del gioco, come, invece, lo ha sempre conosciuto questo ragazzo intelligente che appena varca la linea di fuoco del campo si trasforma in guerriero spietato... a suo modo evangelico: uno che dopo il primo gomito ti mostra anche l’altro. Su tutti i campi italiani, ma proprio tutti, in quegli anni echeggiava uno stucchevole ritornello: «Coldebella deve morire». Adesso a Milano si sente cantare: «Coldebella deve segnare», anzi, «Coldebella vinci per noi...». Bella e tenace rivincita.
«Sono andato via da Bologna e da una grande squadra - racconta Coldebella -. Ho scelto l’Aek, che l’anno precedente era arrivato 10° nel campionato greco (su 14 squadre). Da allora siamo sempre stati finalisti sia in campionato che in Coppa greca, e poi con il Paok ho vinto il titolo...». E adesso Milano. Che respira aria d’alta quota, dopo aver respirato dalle bombole d’ossigeno, negli ultimi anni, per mantenersi viva. «Milano che conosce i suoi limiti - spiega Claudio -. Ed è questa la sua forza. Potremo incorrere in qualche passo falso, naturalmente, ma difficilmente ci faremo cogliere di sorpresa. In questa squadra ognuno sa quello che può e deve fare, e si sente circondato dalla fiducia dei compagni».
Milano, con una missione speciale. «Ci è stato chiesto, direi ordinato, di formare un gruppo e riconquistare l’identità tra squadra e i tifosi. Senza nessun obiettivo specifico, se non quello di dare il massimo». Orgoglio senza pregiudizi... «Me ne sono andato dalla Virtus dove ero un leader, in Grecia sono sempre stato votato come il miglior comunitario... Perché qualcuno deve scrivere che sono mezzo finito, che sono tornato con motivazioni di basso profilo? Solo perché ho 34 anni? Non mi conoscono. Potrebbero alzare il telefono per verificare. Io rispondo a tutti».
Werther Pedrazzi
«Sono andato via da Bologna e da una grande squadra - racconta Coldebella -. Ho scelto l’Aek, che l’anno precedente era arrivato 10° nel campionato greco (su 14 squadre). Da allora siamo sempre stati finalisti sia in campionato che in Coppa greca, e poi con il Paok ho vinto il titolo...». E adesso Milano. Che respira aria d’alta quota, dopo aver respirato dalle bombole d’ossigeno, negli ultimi anni, per mantenersi viva. «Milano che conosce i suoi limiti - spiega Claudio -. Ed è questa la sua forza. Potremo incorrere in qualche passo falso, naturalmente, ma difficilmente ci faremo cogliere di sorpresa. In questa squadra ognuno sa quello che può e deve fare, e si sente circondato dalla fiducia dei compagni».
Milano, con una missione speciale. «Ci è stato chiesto, direi ordinato, di formare un gruppo e riconquistare l’identità tra squadra e i tifosi. Senza nessun obiettivo specifico, se non quello di dare il massimo». Orgoglio senza pregiudizi... «Me ne sono andato dalla Virtus dove ero un leader, in Grecia sono sempre stato votato come il miglior comunitario... Perché qualcuno deve scrivere che sono mezzo finito, che sono tornato con motivazioni di basso profilo? Solo perché ho 34 anni? Non mi conoscono. Potrebbero alzare il telefono per verificare. Io rispondo a tutti».
Werther Pedrazzi