Una serata storta, di quelle in cui non ne va bene una. Si ferma contro Roseto (61-69) la partenza lanciata della Virtus Roma, una frenata che è un bel passo indietro per ambizioni e morale della squadra di Piero Bucchi, capace di soffrire, difendere, lottare, scovare alternative al suo gioco, ma maledettamente incapace di fare canestro. Che in questo sport non è particolare irrilevante. Roma, nel pomeriggio in cui dal perimetro con continuità spara a salve, prova ad aggrapparsi alle lunghe braccia di Daniel Santiago, il portoricano che nella giungla riservata ai giganti dà l’anima, sgomita, crea spazi per sé e per il gruppo, ma tanto lavoro sporco non è sufficiente a limitare i danni. Le sue sono le uniche cifre accettabili: 24 punti, 5 stoppate, 10 rimbalzi ed un 71% dal campo che è oro se confrontato all’inguardabile 38% di tutti gli altri messi insieme. Roseto conferma l’exploit bolognese e lo fa giocando d’astuzia: quando Phil Melillo intuisce che per la Virtus non è serata di precisione, impone la difesa a zona. Lì sta la chiave della sfida, con Roma che in fase di preparazione attacca benissimo, fa circolare la palla, serve Santiago che o segna oppure obbliga gli avversari all’aiuto difensivo, aprendo orizzonti di libertà per i suoi tiratori. Costruzione, circolazione, idee, tutto bene. Se non ci fosse il tiro, fondamentale in cui Roma appare addirittura imbarazzante (4/27, un 15% da brividi).
Eppure Bucchi aveva provato a far girare l’inerzia dell’incontro, affidando a Davide Bonora la regia dopo che Jenkins era spesso andato in confusione: il «play» americano è soprattutto un realizzatore, e se la palla non va dentro perde molta della sua utilità. Con il saggio Bonora a dirigere le danze la squadra ha trovato il ritmo in attacco, ma è inutile costruire situazioni invidiabili per le proprie bocche da fuoco, se poi nessuno vede il canestro. E Righetti per ben 6 volte ha avuto un’esecuzione facile e per ben 6 volte ha sparato a salve. Stesso discorso per Carlton Myers (3/9) e Tusek (1/5). E fine dell’analisi dei come e dei perché.
Il resto è la gioia di Roseto, i tanti sostenitori abruzzesi che non hanno smesso un solo istante di cantare per i propri eroi. Conferma di come il basket sia ancora sport di provincia, dove il fuoco della passione si alimenta in famiglia. Roma lo sa bene e lo ha capito Bucchi, quando ha detto rigirando in mano il foglio delle statistiche, di non essere preoccupato per la sconfitta, il gioco dei suoi, il carattere del gruppo, il passaggio a vuoto di Jenkins. Ma di essere tremendamente amareggiato per aver dato una delusione al pubblico romano, nel momento in cui aveva iniziato a riempire di affetto il Palazzetto.
La Virtus va dietro alla lavagna mentre Roseto si gode due colpi esterni (Bologna e Roma) che la fanno sognare insieme ad un gruppo di ottimi giocatori che Phil Melillo sta trasformando in ottima squadra. Sorridendo per la scoperta di Davis, un centro dalla mano morbida e dai movimenti interessanti, che se indovina una serata al tiro come quella di ieri (23 punti, 10 rimbalzi, 3 recuperi) può da solo spostare gli equilibri.
Ora, dopo la frenata si guarda avanti. Anzi, Piero Bucchi si guarda intorno. E si mette al lavoro alla ricerca del sostituto di Marcaccini, perché si è visto quanto un’alternativa dal perimetro in certe giornate possa essere utile. Si volta pagina, domenica Roma va ad Udine. Per dimenticare. O per provare a ricordarsi come si fa canestro.
Valerio Vecchiarelli
Eppure Bucchi aveva provato a far girare l’inerzia dell’incontro, affidando a Davide Bonora la regia dopo che Jenkins era spesso andato in confusione: il «play» americano è soprattutto un realizzatore, e se la palla non va dentro perde molta della sua utilità. Con il saggio Bonora a dirigere le danze la squadra ha trovato il ritmo in attacco, ma è inutile costruire situazioni invidiabili per le proprie bocche da fuoco, se poi nessuno vede il canestro. E Righetti per ben 6 volte ha avuto un’esecuzione facile e per ben 6 volte ha sparato a salve. Stesso discorso per Carlton Myers (3/9) e Tusek (1/5). E fine dell’analisi dei come e dei perché.
Il resto è la gioia di Roseto, i tanti sostenitori abruzzesi che non hanno smesso un solo istante di cantare per i propri eroi. Conferma di come il basket sia ancora sport di provincia, dove il fuoco della passione si alimenta in famiglia. Roma lo sa bene e lo ha capito Bucchi, quando ha detto rigirando in mano il foglio delle statistiche, di non essere preoccupato per la sconfitta, il gioco dei suoi, il carattere del gruppo, il passaggio a vuoto di Jenkins. Ma di essere tremendamente amareggiato per aver dato una delusione al pubblico romano, nel momento in cui aveva iniziato a riempire di affetto il Palazzetto.
La Virtus va dietro alla lavagna mentre Roseto si gode due colpi esterni (Bologna e Roma) che la fanno sognare insieme ad un gruppo di ottimi giocatori che Phil Melillo sta trasformando in ottima squadra. Sorridendo per la scoperta di Davis, un centro dalla mano morbida e dai movimenti interessanti, che se indovina una serata al tiro come quella di ieri (23 punti, 10 rimbalzi, 3 recuperi) può da solo spostare gli equilibri.
Ora, dopo la frenata si guarda avanti. Anzi, Piero Bucchi si guarda intorno. E si mette al lavoro alla ricerca del sostituto di Marcaccini, perché si è visto quanto un’alternativa dal perimetro in certe giornate possa essere utile. Si volta pagina, domenica Roma va ad Udine. Per dimenticare. O per provare a ricordarsi come si fa canestro.
Valerio Vecchiarelli