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Gattoni vuole rifarsi con Pesaro

Il play del Fabriano: «Scavolini attenta, siamo in crescita»

FABRIANO — «Il mio è soprattutto un derby di famiglia. Tra il sottoscritto che, anche dopo sette anni trascorsi a Fabriano riesce a mantenere l'accento pesarese e quelle due 'mascalzoncelle' delle mie figlie che ormai parlano fabrianese 'stretto'. Io cerco di correggerle, ma mi sa tanto che non ce la farò… ».
Fabriano - Pesaro vista da Massimo Gattoni è ormai un classico. Anche per lui, che, però, non si stanca di considerarla una sfida speciale. «Lo sapete, sono sempre combattuto. Da un parte rimango molto legato alla mia città natale, dall'altra non possono negare di considerarmi anche cittadino fabrianese, perché qui sono stato accolto benissimo, ho ricevuto tanto e, magari, qualcosina ho anche dato». E continua a dare il «Gatto», perché con quell'anima da capitano che si ritrova, prima fa il tifoso «interrogando» il giornalista per conoscere gli ultimi preoccupanti sviluppi societari, poi elargisce ottimismo sul fronte tecnico. «Se ci credo in questa squadra? Rispondo in tutta sincerità. Il 16 agosto, onestamente, ero molto scettico. Ancor più dubbioso mi sentivo in precampionato quando prendevamo batoste, ma il coach continuava a dirci buon lavoro e a sostenere che presto saremmo cresciuti. Allora, dico la verità, facevo fatica a credere alle parole dell'allenatore. Ma oggi, dopo quattro giornate di campionato, devo ammettere che aveva ragione lui. Ho visto grandi progressi, ce la siamo giocata con tutti, dando dimostrazione di notevole competitività. Se Carmenati, ora, sostiene che siamo solo a metà del cammino tecnico e che sono sempre ampi i margini di progresso, mi sento proprio di dargli ragione». Da registrare per esempio c'è l'intesa in campo (non certo fuori, visto che sono amicissimi e abitano nello stesso palazzo) con lo spagnolo Nunez, per sapere chi tra i due, quando giocano insieme, è il play e chi la guardia. «Non è affatto un problema» ribatte il capitano. «La nostra non è una squadra con una panchina lunghissima, per cui un po' tutti, esterni e lunghi, dobbiamo abituarci a cambiare ruolo spesso. Certo, io e Roberto siamo due registi, specie per me, che ho giocato sempre da play, non è semplice adattarmi in un'altra posizione, ma, per la causa comune, questo e altro. Intanto concentriamoci sulla Scavolini che sulla carta è più attrezzata di noi, ma siamo pronti ad affrontarla con il giusto spirito».
Alessandro Di Marco
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