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Galanda e il buio della Fortitudo

Alla diagnosi di Boniciolli dopo Roma, replica Gek: "Le stelle non ci sono più, saranno battaglie"

Orfani di un leader. Così ha sintetizzato i problemi della squadra, il vostro allenatore, Boniciolli, dopo la sconfitta con Roma, la terza in cinque partite, seconda consecutiva. Ma vi sentite davvero senza capobranco, Galanda?
«Non ho mai creduto molto a questi discorsi».
In che senso?
«Al bisogno di un leader unico, intendo. Non lo dico con spirito polemico, affatto. Lo dico perché io vedo il basket in un certo modo e ho vissuto esperienze molto diverse tra loro. Poi è vero che in certe situazioni serve uno che guidi la squadra, ma non è detto che sia sempre la stessa persona. In sintesi: più che un leader ci serve intelligenza».
Si spieghi.
«L´intelligenza per capire come sta andando una partita, sfruttando di volta in volta chi in quel momento può dare di più. Una leadership diffusa, ecco. Così la guida può toccare a giocatori diversi, a seconda delle situazioni e di chi è in serata».
Però non è più la stessa Fortitudo.
«Non mi sembra una grande scoperta, questa. Siamo una squadra che ha cambiato tanto, ed è logico quel che dice il nostro allenatore quando ricorda che Fucka e Myers non ci sono più. Ma si sapeva: è una squadra senza stelle e che allora dovrà "illuminarsi" con il gioco. E, soprattutto, con lo spirito».
Quale?
«Quello di chi sa che un´epoca è finita, appunto. E che in questa stagione ogni partita è una battaglia, mica scherzi. Che i due punti andranno sudati, sempre e comunque. Che le certezze, se verranno, saranno frutto di un lavoro lungo e collettivo».
E´ preoccupato?
«No, sinceramente non lo sono. Sono convinto della qualità della squadra. Ma ci vuole tempo, questo sì».
Anche lei raccomanda pazienza, dunque.
«Mi pare naturale e non è un modo per cercare scuse. Lo ripeto: si sapeva fin dall´inizio che sarebbe stata una stagione diversa. Bisogna aspettare che ognuno trovi il suo ruolo, perché, questo è evidente, per ora non abbiamo ancora una definizione precisa».
Non proprio il massimo, dunque.
«Però c´è un vantaggio: non abbiamo pressioni, almeno non troppe, poiché non dobbiamo vincere nulla. E questo serve parecchio per potersi togliere, in futuro, qualche soddisfazione. Un obiettivo possibile, questo, dopo aver raggiunto i play-off. Sarebbe sbagliato dire adesso quel che possiamo o non possiamo fare. Però credendoci e con un po´ di fortuna le soddisfazioni, di cui parlavo prima, magari saranno anche maggiori rispetto al passato».
I motivi di questo inizio grigio.
«Dobbiamo ancora conoscerci bene, prima di tutto. E poi ci è mancato Scepanovic, uno destinato a diventare il punto di riferimento. E poi c´è pure la stanchezza».
Due partite in tre giorni.
«Sì, fatte usando quasi sempre gli stessi. La fatica fisica si può pagare: tra Eurolega e campionato abbiamo viaggiato parecchio. Magari eravamo pure cotti».
Contro Roma l´impressione è che ad un certo punto siate crollati, sparendo dalla partita. Sembrava una partita semplice, alla portata. E invece l´avete complicata anche voi. Le colpe?
«Preferisco fare un discorso generale. Quel che mi dispiace fin qui è che ho avuto l´impressione che certe partite le abbiamo buttate al vento noi. Non siamo stati costanti, ecco. Abbiamo subito dei black-out improvvisi che hanno cambiato il senso della gara».
Cosa è mancato?
«La capacità di gestire le situazioni. E di essere consapevoli che possiamo farlo. Con il nostro lavoro».
Valentina De Salvo
Fonte: La Repubblica
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