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Ma i... killer non abitano in via Pera

A Trieste una grande difesa. Peccato è mancata la cattiveria

LIVORNO. Il tabù triestino ha retto a un altro assalto. La Mabo torna dal regno della bora, ad un passo dalla Slovenia, con la valigia vuota di punti, ma con tante certezze in più nel cervello. Sono quelle di una squadra che fa della difesa la sua arma più pericolosa, che è riuscita a tenere a 80 punti un attacco atomico come quello di Trieste che fino a domenica aveva 86.5 di media generale, e qualcosa come 90 tra le mura amiche, e che nel salotto di casa aveva fatto un sol boccone prima della Skipper vicecampione d'Italia, poi della Varese del capocannoniere Gorenc e di Andrea Meneghin. Ora si può dire con certezza: il tonfo di Avellino fu solo una parentesi. Nella capitale del nord est Livorno ha fatto vedere quello che aveva messo in vetrina contro Biella, vale a dire l'anima dei gladiatori, ha mostrato di saper mordere, di saper tenere a cuccia bombardieri come Roberson, che avrebbe fatto la fine di Jamel Thomas se non fosse stato per quelle tre bombe piazzate in avvio di gara, quando gli amaranto avevano provato quella zona 3-2 che dagli angoli è vulnerabilissima e che ha steso un tappeto color porpora sulla fuga iniziale di Trieste, vuoi per la difficoltà di Garri e Mutavdzic di coprire gli angoli, vuoi per la bravura di Maric nel penetro e scarico.
Ebbene, quando la Mabo è tornata alla normalità, vale a dire alla uomo, i biancorossi di Pancotto hanno cominciato a sudare per far canestro, e Roberson che in tre minuti aveva già scritto 9 punti, si è dovuto accontentare di altri 9 centri nell'arco di tutto il match. Bravo Santarossa, che l'ha braccato con lo stile di Nesta, bravo Parente che ha spento i sogni di Maric e di Erdmann (4/12) e ha scritto un altro record dei suoi nelle palle recuperate (7), bravo Mutavdzic che non ha perso il duello contro l'azzurro Podestà.
Gli altri aspetti positivi sono il recupero di Marco Sambugaro, ritrovato già contro Biella dopo l'avvio difficile e confermatosi a Trieste, e quello di Parente, ormai una garanzia, oltre al miglioramento di Giachetti, il quale ancora non è al cento per cento ma si vede che sta riprendendo confidenza col parquet.
Il pieno di certezze in realtà conta anche in negativo: se alla fine i due punti sono entrati nelle casse triestine, il perchè sta nel fatto che questa squadra per vincere fuori casa ha bisogno di girare bene con tutti i suoi uomini, mentre domenica Elliott ha latitato nel momento clou, quando si è intestardito nel duello (perso) con mister concretezza Kelecevic, ma ha latitato in attacco anche Santarossa, dal quale sono arrivati solo due punti. Una miseria che Livorno non può permettersi per mano della sua ala titolare, quella che ha preso il posto di Robert Conley, il terminale offensivo principale della Mabo 2001. Questa squadra insomma, che talenti offensivi spiccati non ne vanta, ha bisogno di un contributo da parte di tutti in attacco e quando qualcuno stecca, firmare un colpo su un parquet dove vinceranno in pochi come quello giuliano diventa molto difficile.
L'altro aspetto da valutare è la mancanza dell'istinto del killer, la non capacità cioè di uccidere partita nel momento buono. Trieste è rimasta per quattro minuti (gli ultimi due del terzo tempino e i primi due dell'ultimo) a quota 57, ma Livorno in quel momento non ha avuto il sangue freddo di darle il colpo di grazia. Si è portata sul 62-57 e poi, anzichè prendere l'ascia in mano e tagliare la testa al risultato, ha sparacchiato, aspettando che la band di Pancotto riordinasse le idee, riassaporasse l'ossigeno e ripartisse verso la vittoria.
Giulio Corsi
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