Si avvicina il derby di sabato fra Oregon Scientific Cantù e Pippo Milano, una delle classiche del campionato italiano, la sfida più giocata dalla formazione di via Volta, ancora di più rispetto a quella con Varese.
Persona che ha sicuramente una grande esperienza in partite come queste è Valerio Bianchini, per tre anni sulla panchina canturina negli anni ottanta e spesso vittorioso in gare del genere.
Valerio Bianchini, è anche l’ultimo allenatore scudettato con Cantù nell’ormai lontano 1981 ed abituato alle invasioni di campo che hanno coronato di successi la sua carriera professionistica. Con la Pallacanestro Cantù, Bianchini vinse anche una Coppa dei Campioni (’82) ed una Coppa delle Coppe (’81) nei tre anni passati sulla panchina biancoblù dal 1979 al 1982.
Bianchini, sabato ci sarà il derby fra Cantù e Milano. Cosa le ricorda?
“Tantissime cose. Le sfide mitiche fra la Cantù dei Marzorati, Riva, Bariviera e la Milano dei D’Antoni, Meneghin e Boselli. Era l’epopea della piccola Cantù contro la grande Milano, la sfida fra la piccola città di provincia e la grande metropoli, l’orgoglio canturino che viveva all’ombra di Milano”.
Che differenza c’è tra i derby che dirigeva lei dalla panchina e quelli di oggi?
“Oggi sono sicuramente tutti da reinventare. Forse adesso è addirittura più sentito quello fra Cantù e Varese anche se occorre dire che quest’anno Milano ha costruito una squadra superiore a quelle degli ultimi anni e dunque potrà tornare ad essere la sfida da alta classifica che era una volta. Milano è una squadra che è stata capace di far soffrire la Benetton arrivando ad un passo dal colpaccio”.
Ricorda qualche aneddoto particolare legato alla sfida fra Cantù e Milano?
“Come non ricordare quella serie di semifinale scudetto contro Peterson. Furono tre partite incredibili, una più bella dell’altra. Giocammo la prima a fuori casa, ancora nel palazzo dello sport di San Siro, e vincemmo. Poi tornammo a Cantù per la seconda, sicuri di vincere, ma Peterson si inventò la sua 1-3-1 con D’Antoni che rubava palloni da tutte le parti. Vinsero loro e si tornò a Milano con una folla oceanica a seguire la partita. Due supplementari in quel clima furono una cosa mai vista prima di allora. Riuscimmo a vincere e poi vincemmo lo scudetto contro Bologna”.
Oggi che non ci sono quasi più i giocatori bandiera e che il campionato è invaso dagli stranieri, che significato può avere una partita come questa che in passato valeva molto di più dei semplici due punti in classifica?
“Allora i colori e le appartenenze erano sicuramente più radicati. Marzorati era di Cantù, Riva in pratica anche lui, Milano aveva i fratelli Boselli veri milanesi. Questa dimensione è oggi sorpassata ma di sicuro da non rimpiangere. Viviamo in un mondo dove la globalizzazione la fa da padrone, dove l’Europa Unita non è solamente un qualcosa di politico ma entra anche nello sport con i tanti stranieri venuti nel nostro campionato. Ci sono ancora criteri stracittadini importanti ma oggi è importante assemblare un gruppo di giocatori stranieri e sperare che questi si affezionino alla maglia. Mi viene in mente Thornton che è alla terza stagione a Cantù ed ormai è considerato come un canturino e non uno straniero. Se penso che solamente qualche anno fa era impossibile immaginare che il miglior giocatore italiano del nostro campionato, e mi riferisco a Carlton Myers, potesse essere di colore…Oggi è cambiata la mentalità e con essa anche il significato dei derby”.
Simone Giofrè
Persona che ha sicuramente una grande esperienza in partite come queste è Valerio Bianchini, per tre anni sulla panchina canturina negli anni ottanta e spesso vittorioso in gare del genere.
Valerio Bianchini, è anche l’ultimo allenatore scudettato con Cantù nell’ormai lontano 1981 ed abituato alle invasioni di campo che hanno coronato di successi la sua carriera professionistica. Con la Pallacanestro Cantù, Bianchini vinse anche una Coppa dei Campioni (’82) ed una Coppa delle Coppe (’81) nei tre anni passati sulla panchina biancoblù dal 1979 al 1982.
Bianchini, sabato ci sarà il derby fra Cantù e Milano. Cosa le ricorda?
“Tantissime cose. Le sfide mitiche fra la Cantù dei Marzorati, Riva, Bariviera e la Milano dei D’Antoni, Meneghin e Boselli. Era l’epopea della piccola Cantù contro la grande Milano, la sfida fra la piccola città di provincia e la grande metropoli, l’orgoglio canturino che viveva all’ombra di Milano”.
Che differenza c’è tra i derby che dirigeva lei dalla panchina e quelli di oggi?
“Oggi sono sicuramente tutti da reinventare. Forse adesso è addirittura più sentito quello fra Cantù e Varese anche se occorre dire che quest’anno Milano ha costruito una squadra superiore a quelle degli ultimi anni e dunque potrà tornare ad essere la sfida da alta classifica che era una volta. Milano è una squadra che è stata capace di far soffrire la Benetton arrivando ad un passo dal colpaccio”.
Ricorda qualche aneddoto particolare legato alla sfida fra Cantù e Milano?
“Come non ricordare quella serie di semifinale scudetto contro Peterson. Furono tre partite incredibili, una più bella dell’altra. Giocammo la prima a fuori casa, ancora nel palazzo dello sport di San Siro, e vincemmo. Poi tornammo a Cantù per la seconda, sicuri di vincere, ma Peterson si inventò la sua 1-3-1 con D’Antoni che rubava palloni da tutte le parti. Vinsero loro e si tornò a Milano con una folla oceanica a seguire la partita. Due supplementari in quel clima furono una cosa mai vista prima di allora. Riuscimmo a vincere e poi vincemmo lo scudetto contro Bologna”.
Oggi che non ci sono quasi più i giocatori bandiera e che il campionato è invaso dagli stranieri, che significato può avere una partita come questa che in passato valeva molto di più dei semplici due punti in classifica?
“Allora i colori e le appartenenze erano sicuramente più radicati. Marzorati era di Cantù, Riva in pratica anche lui, Milano aveva i fratelli Boselli veri milanesi. Questa dimensione è oggi sorpassata ma di sicuro da non rimpiangere. Viviamo in un mondo dove la globalizzazione la fa da padrone, dove l’Europa Unita non è solamente un qualcosa di politico ma entra anche nello sport con i tanti stranieri venuti nel nostro campionato. Ci sono ancora criteri stracittadini importanti ma oggi è importante assemblare un gruppo di giocatori stranieri e sperare che questi si affezionino alla maglia. Mi viene in mente Thornton che è alla terza stagione a Cantù ed ormai è considerato come un canturino e non uno straniero. Se penso che solamente qualche anno fa era impossibile immaginare che il miglior giocatore italiano del nostro campionato, e mi riferisco a Carlton Myers, potesse essere di colore…Oggi è cambiata la mentalità e con essa anche il significato dei derby”.
Simone Giofrè