Un mese in città è servito per orientarsi, capire che il traffico è sempre così, prendere o lasciare, imparare che se nel nuovo appartamento di via Flaminia manca l’acqua calda trovare un idraulico diventa un’impresa. Più difficile che piazzare una stoppata in faccia ai giganti avversari. Un mese in città è servito per far capire a Roma di aver indovinato la scelta, il campionato della nuova Virtus è iniziato sotto il segno di Daniel Santiago, muscoli e tecnica pescati in Portorico dalla premiata ditta Bucchi&Brunamonti per risolvere tanti problemi sotto canestro. Le cifre parlano chiaro: 5 partite, 15 punti di media, primo nelle classifiche di stoppate (11), schiacciate (12), valutazione (122), in vetta tra i rimbalzisti, ma soprattutto quello che i numeri non dicono è una presenza eccezionale nella giungla riservata ai fuori misura. Un mese è passato tra allenamenti e lezioni di vita cittadina, con un po’ di nostalgia per la «playa», il mare, l’allegria di Guaynabo, il paradiso di Portorico dove Daniel e sua moglie Annette due anni fa hanno acquistato una casa: «Perché per noi le radici sono importanti ed anche se siamo nati e cresciuti negli Stati Uniti, la nostra vita è a Portorico». Dentro la lunetta il gigante sfoggia occhi di fuoco, lontano dalla tensione agonistica cambia pelle, si scioglie, abbraccia la vita. Il segreto? La Bibbia: «Sì, l’ho sempre con me, quelle parole sono le mie istruzioni per l’uso. Mi volevano di nuovo a Varese, ma nella scelta di Roma è stata fondamentale la mia curiosità per un luogo in cui è stata fatta la storia degli uomini. Sono cristiano, credo che nella nostra esistenza ci siano cose ben più importanti del basket, anche se credo che una persona debba sempre dare il massimo in quello che fa. Ma il mio obiettivo non sono solo i rimbalzi o le schiacciate: prima di tutto è provare a vivere senza far male al prossimo. Poi, se possibile, provare a far bene al prossimo». L’amore per lo sport è un’eredità di nonno Pedro, l’anima portoricana della famiglia, professionista di baseball in Usa. Fu insieme a lui che Daniel provò ad esibirsi su un diamante, ma si ruppe subito un braccio e pensò di cambiare aria. Il papà provò a farlo innamorare del calcio, ma lui cresceva troppo e come mise piede nella high school nel suo futuro ci fu solo basket. College, università, la nazionale di Portorico, Varese ed uno scudetto storico prima della grande avventura nella Nba con i Phoenix Suns. Poco spazio, pochi minuti, due stagioni difficili e tanta esperienza. Che a Roma si fa sentire: «Sì, sono migliorato, ma non solo tecnicamente. Perché l’Nba è una palestra di vita, là tutte le difficoltà sono moltiplicate e scopri che il basket non è quello che hai conosciuto fino allora. Sei un pivot? Se la squadra gioca soprattutto per gli esterni ti devi dimenticare tutto ciò che hai metabolizzato e metterti al servizio degli altri». L’Nba resta l’obiettivo, migliorare, tornare là per sentirsi finalmente realizzato. Roma una tappa fondamentale nel percorso di rigenerazione: «In queste prime partite ho scoperto tanto più rispetto da parte di arbitri, giocatori, pubblico e questo mi rende felice. Ancora è presto per dare un giudizio sulla squadra, ma vedo un gruppo che ha grandi motivazioni. Possiamo andare lontano». Un mese a Roma, traffico, palestra e qualche difficoltà: «Per me la famiglia è fondamentale, a mia moglie manca Portorico, ma ora è talmente impegnata con Christine (un anno, ndr) che non ha il tempo di pensarci. Lei ama lo sport, tre anni fa corse la maratona di Roma, spero che quando avremo capito i ritmi della città possa tornare ad allenarsi». E per alleviare la nostalgia sabato pomeriggio sugli spalti del Palazzetto si è materializzata una bandiera di Portorico: «Quando l’ho vista ho provato una grande gioia. Non sapevo chi l’avesse portata, poi ho scoperto che qui ci sono 15 miei connazionali che lavorano per una multinazionale. É stato bello vincere anche per loro». Santiago, il gigante dal cuore tenero fa sognare la Roma dei canestri.
Valerio Vecchiarelli
Valerio Vecchiarelli