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Mabo, una domenica da sogno

La forza del gruppo, quel valore aggiunto di Parente e compagni

LIVORNO. L'emblema di questa domenica bestiale è l'Audi 80 nera di Rodney Elliott, che sparisce sgassando nel buio di via Allende, con Keith Mc Leod e l'orso bianco Mutavdzic a bordo, finestrini aperti, rap americano sparato dallo stereo. E a pochi metri, il pullman bianco della Virtus, circondato da polizia e lampeggianti blu, parcheggiato dentro il recinto del PalaMacchia in attesa che i campioni con la V nera sulla borsa salgano le scalette, capo chino, senza fiatare.
L'emblema di questa domenica bestiale è Marco Sambugaro, che si avventa sul parquet per strappare un pallone, in mezzo alla selva di mani di Koturovic, Bell e David Brkic. E poi 'Giachettino', il play fatto in casa, che brucia Rigaudeau e Attruia come un fiammifero sulla paglia secca. L'emblema di questa impresa da libro dei ricordi è lo zompo di Bertocci sulla panchina, gli occhi sgranati come due lampioni di Misha Mutavdzic che ci teneva da matti a vincere contro il suo connazionale Koturovic, l'abbraccio finale a metà campo, con i tremila in piedi e la standing ovation del popolo amaranto.
Peccato che non ci sia una colonna sonora che accompagni il colpo dell'anno, come succede in tutti i palasport d'Italia. Qui un tempo si ascoltava la Carmen di Bizet o The Final Countdown degli Europe (che alla PL continuano a proporre), e prima ancora Joe Cocker con le sue Nove settimane e mezzo o gli Spandau Ballet. Sarebbe un modo per dare una maggiore identità a questa squadra, per far uscire la gente dal palasport col sapore della vittoria negli occhi e anche nelle orecchie. Perchè un piellino, a quasi quindici anni di distanza, se ascolta gli Europe rivede Addison e Lanza che fanno riscaldamento, e un libertassino, quando sente Joe Cocker, anzichè a Kim Basinger pensa ai baffi di Jeff Cook e alla faccia buona di Rod Griffin. C'è bisogno di far identificare città e squadra, di coinvolgere la gente, come ha fatto Giachetti con le sue serpentine e Elliott con i suoi salti. C'è bisogno di creare un clima di festa non solo in campo, anche sugli spalti.
Fine della parentesi. Perchè a 48 ore dalla grande impresa, le labbra amaranto saporano ancora di questa vittoria. Livorno ha costruito la partita grazie alla solidità del gruppo. Mister Rodney ha dimostrato di essere l'uomo in più, quello che nel momento difficile si carica la baracca sulle spalle ed evita il capitombolo (vedi i 9 punti che nel primo quarto hanno frenato la fuga virtussina) e che nel momento decisivo spara la tripla del possibile kappaò (vedi il canestro a fil di sirena a fine terzo quarto del 63-50). Sambugaro ha confermato che la mano è tornata a bollire, anche quando i polsi tremano (è stato lui ad accendere per la prima volta il palazzo, con la tripla del primo pareggio, 27-27).
Ma le sorprese più belle sono arrivate da Giachetti e Garri. Il primo ha lasciato in spogliatoio due mesi e mezzo di acciacchi, è entrato e come sapeva fare un altro livornese, Enrico Burini, ha vissuto tre minuti di trance agonistica, facendo saltare i piani della Virtus con 9 punti in 5', quelli del sorpasso e dell'allungo, poi nel finale è stato glaciale dalla lunetta e ha servito l'assist decisivo a Mutavdzic. «Giachetti ha aperto delle voragini nella nostra difesa, è stato determinante», ha detto alla fine Boscia Tanjevic. Impossibile aggiungere altro. Garri invece finalmente ci ha messo l'anima. Era il suo giorno, visto che l'orso bianco era oberato di falli già dopo 7', e il ragazzone di Asti ha fatto vedere di avere stomaco. 3 rimbalzi e 5 recuperi in 22', dice lo scout. Grande caparbietà, voglia di lottare su ogni pallone contro bestioni esperti come Koturovic e Frosini, dice il campo.
Giulio Corsi
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