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L´alba assurda di "Micio" campione umile

La morte di Andrea Blasi ieri a Bologna

SPEZZATI sulla strada all´improvviso, in un´assurda alba cittadina, i 37 anni di Andrea Blasi, che tutti nel basket chiamavamo "Micio", sarebbero stati presto rischiarati dalla nascita d´un figlio. La famiglia, il lavoro, i canestri ormai solo per diporto, in una lieve serie C2 al Pontevecchio, la sua vita aveva ormai ritmi diversi da quelli che per 18 anni, da giocatore professionista, ne avevano governato le giornate, e le 520 partite in 9 diverse squadre di A.
A Bologna era arrivato nell´estate del ´93, riva Fortitudo. Poi, come molti giocatori, ci si era stabilito. Non era un campione, ma uno di quei rincalzi che, forti pure di umiltà e buon senso, diventano a poco a poco pilastri silenziosi d´una squadra. Si fermò, infatti, per quattro stagioni: era la Fortitudo che, da poco rilevata da Giorgio Seragnoli, cresceva, facendo un passo avanti ogni anno. E Quando tornava a Bologna a giocar contro la Fortitudo, con un´altra maglia, Blasi prendeva sempre un premio, una sciarpa, un ricordo, dai tifosi. Frequentava ancora le partite al PalaDozza, fino alla passata stagione comparivano suoi 'pezzi´ sull´house organ della società o si sentiva la sua voce alla radio. Ma "Micio" non era un estraneo neanche a Casalecchio: una delle ultime estati, anzi, era disoccupato e aveva chiesto d´allenarsi con la Virtus, per mettersi in forma aspettando una chiamata. Messina e Consolini l´avevano accolto volentieri: lavorando in gruppo, uno come lui dava sempre una mano. Trovò poi ingaggiò a Reggio Calabria e ne furono tutti contenti.
Blasi era nato a Trieste, ma non era mai stato triestino. Fin da bambino aveva vissuto a Milano e Toni Cappellari, manager della grande Olimpia, l´aveva notato nella piccola Social Osa aggregandolo, diciottenne, al gruppo dei mitici D´Antoni e McAdoo, Meneghin e Premier. Ci vinse pure, da ragazzo di bottega, lo scudetto ´86, prima di mettersi a girare fra molti club (Verona, Arese, ancora Milano, Firenze), formando questa sua identità di playmaker affidabile e non invadente, che lo rendeva ideale per grandi squadre.
Quando Sergio Scariolo lo chiamò a Bologna, nel ´93, la Fortitudo lo era solo in progetto. Ma era l´anno del ritorno in A1, in breve fu assorbita pure la penalizzazione di 6 punti per il "giallo di Modena" e le folate impetuose di Enzino Esposito scaldavano il PalaDozza. Regista titolare di quella Filodoro era l´estroso, razzente Fumagalli: Blasi doveva esserne il complemento, il ricambio prudente e riflessivo. Sesta nel ´94, terza nel ´95, la Fortitudo si giocò la prima finale scudetto nel ´96 (persa con Milano) e la seconda nel ´97 (persa con Treviso). Andrea ne aveva vissuto tutta l´escalation, dalla stessa postazione operativa: cambio del regista titolare, il ruolo più instabile, in quegli anni ruggenti dell´Aquila, il copione incompiuto che bruciò Djordjevic, poi Crotty, poi Murdock. Blasi dava difesa e ordine tattico; e diede anche punti decisivi per la vittoria, in alcune giornate in cui quel suo tiro mancino, molto arcuato, godeva di parabole più ispirate (i tifosi ricordano Pistoia, Trieste, la prima finale con Milano). La Fortitudo cambiava uomini sempre più in fretta, cercando la formula vincente, e nell´estate ´97 Blasi riprese il suo cammino di giocatore di ventura. Sassari, Pistoia, Cantù, Reggio Calabria, Ozzano in B, alle porte di Bologna, di nuovo Reggio, l´anno scorso: l´ultimo da professionista.
La casa, intanto, era diventata Bologna. I derby non più con la Virtus: sabato sera, l´ultimo, vinto, contro il Trebbo di Reno. Veronique, che era stata uno dei volti più apprezzati di Tele+, s´era finalmente fermata, dove averlo seguito ovunque, da giocatore. Era arrivato il momento di formare quella famiglia che, a giorni, sarebbe stata rallegrata dall´arrivo di un bambino. E invece. Povero "Micio", morto in un´alba assurda, nell´unico schianto chiassoso che ha spento una vita pulita, perbene, educatamente sottovoce.
Walter Fuochi
Fonte: La Repubblica
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