da punto.com
Un milione di euro trattabili. E' questa la richiesta della Virtus Roma, la prestigiosa squadra di basket della capitale che, nonostante abbia iniziato alla grande la nuova stagione di A1, stenta a trovare uno sponsor che copra i costi di Myers e compagni, facendo fronte, nel contempo, alle non strabilianti entrate derivanti dai botteghini, in una città sempre più in preda alla febbre calcistica. Roberto Brunamonti, stella di prima grandezza per 14 anni a Bologna, ha deciso di "cambiare Virtus" dopo sette anni di scrivania, andando a fare il general manager a Roma. Primo obiettivo: porre le basi per una società solida, trovando una giusta partnership commerciale con cui rapportarsi nel tempo.
Le casse di alcune squadre, a partire dalla vostra, chiedono ossigeno. Se nessuna azienda si è fatta ancora avanti, può venire il sospetto che pretendiate troppi soldi.
"Non chiediamo troppo, ma svendere la Virtus Roma non sarebbe giusto. Vogliamo trovare un compagno di viaggio che abbia voglia di sponsorizzare la squadra credendo nel nostro progetto, un partner con cui programmare obiettivi importanti su un'ottica pluriennale. Ragioniamo su dati oggettivi: quest'anno i contratti di sponsorizzazione, per le squadre che non fanno l'Eurolega, sono valutabili intorno a 800mila - un milione di euro. Ma il problema non è solo nostro: la stessa Virtus Bologna, che è pure impegnata nella massima competizione continentale, è sprovvista come noi di uno sponsor".
E allora, il problema qual è? Roma non è nuova a queste situazioni di impasse: lo scorso anno il sodalizio con la Wurth fu celebrato a stagione
iniziata.
"Credo che sia un po' per la situazione economica, un po' per un insieme di cose legate al momento negativo della pubblicità. Lo sport non poteva pensare di tenersi fuori da questa crisi. E' un meccanismo a catena, che coinvolge direttamente il nostro mondo e che non ha risparmiato neanche il calcio, vedi Roma e Torino".
Sembra che il già esiguo spazio riservato dalla Rai al basket sia off limits per le società prive di sponsor. Non le pare una discriminazione arbitraria?
"Al contrario. E' importante per gli sponsor andare sulla tv in chiaro almeno un paio di volte a stagione. Ed è quindi strategico per le squadre che non ne hanno ancora uno conservare una chiave mediatica come questa per convincere eventuali investitori".
Il cambio continuo dei partner commerciali implica nel vostro sport il "trauma" della mutazione del nome della squadra, con evidenti ricadute sulla fidelizzazione del marchio. I Lakers o la Juventus non potrebbero mai farlo. Non sarebbe ora di studiare un altro meccanismo?
"La conservazione del nome nel basket difficilmente è possibile. Al di là della Scavolini e della Benetton, i cui proprietari sono anche sponsor, le squadre hanno sempre cambiato. Io credo che gli sportivi che seguono il basket siano allenati. Sarebbe bello e, per molti versi, utile mantenere sempre lo stesso nome, ma le ditte che sponsorizzano pretendono che sui media la squadra si riconosca immediatamente con il loro marchio. Il calcio non ha bisogno di questo perché ha introiti, come quelli per i diritti tv, che noi non abbiamo.
Il progetto Roma ha bisogno di soldi per decollare".
Cosa vi aspettate? Roma ha la potenzialità per far convivere calcio e basket, come negli anni '80, quando la Roma calcio vinse lo scudetto e la Virtus, allora Banco di Roma, fece altrettanto riempiendo ogni domenica il Palaeur.
"Noi stiamo cercando di costruire qualcosa nel tempo, ma non vogliamo ottenere tutto e subito con il rischio di vedere poi la società fallire. Non sarebbe la prima volta e sapremo comportarci di conseguenza".
Francesco Lener
Un milione di euro trattabili. E' questa la richiesta della Virtus Roma, la prestigiosa squadra di basket della capitale che, nonostante abbia iniziato alla grande la nuova stagione di A1, stenta a trovare uno sponsor che copra i costi di Myers e compagni, facendo fronte, nel contempo, alle non strabilianti entrate derivanti dai botteghini, in una città sempre più in preda alla febbre calcistica. Roberto Brunamonti, stella di prima grandezza per 14 anni a Bologna, ha deciso di "cambiare Virtus" dopo sette anni di scrivania, andando a fare il general manager a Roma. Primo obiettivo: porre le basi per una società solida, trovando una giusta partnership commerciale con cui rapportarsi nel tempo.
Le casse di alcune squadre, a partire dalla vostra, chiedono ossigeno. Se nessuna azienda si è fatta ancora avanti, può venire il sospetto che pretendiate troppi soldi.
"Non chiediamo troppo, ma svendere la Virtus Roma non sarebbe giusto. Vogliamo trovare un compagno di viaggio che abbia voglia di sponsorizzare la squadra credendo nel nostro progetto, un partner con cui programmare obiettivi importanti su un'ottica pluriennale. Ragioniamo su dati oggettivi: quest'anno i contratti di sponsorizzazione, per le squadre che non fanno l'Eurolega, sono valutabili intorno a 800mila - un milione di euro. Ma il problema non è solo nostro: la stessa Virtus Bologna, che è pure impegnata nella massima competizione continentale, è sprovvista come noi di uno sponsor".
E allora, il problema qual è? Roma non è nuova a queste situazioni di impasse: lo scorso anno il sodalizio con la Wurth fu celebrato a stagione
iniziata.
"Credo che sia un po' per la situazione economica, un po' per un insieme di cose legate al momento negativo della pubblicità. Lo sport non poteva pensare di tenersi fuori da questa crisi. E' un meccanismo a catena, che coinvolge direttamente il nostro mondo e che non ha risparmiato neanche il calcio, vedi Roma e Torino".
Sembra che il già esiguo spazio riservato dalla Rai al basket sia off limits per le società prive di sponsor. Non le pare una discriminazione arbitraria?
"Al contrario. E' importante per gli sponsor andare sulla tv in chiaro almeno un paio di volte a stagione. Ed è quindi strategico per le squadre che non ne hanno ancora uno conservare una chiave mediatica come questa per convincere eventuali investitori".
Il cambio continuo dei partner commerciali implica nel vostro sport il "trauma" della mutazione del nome della squadra, con evidenti ricadute sulla fidelizzazione del marchio. I Lakers o la Juventus non potrebbero mai farlo. Non sarebbe ora di studiare un altro meccanismo?
"La conservazione del nome nel basket difficilmente è possibile. Al di là della Scavolini e della Benetton, i cui proprietari sono anche sponsor, le squadre hanno sempre cambiato. Io credo che gli sportivi che seguono il basket siano allenati. Sarebbe bello e, per molti versi, utile mantenere sempre lo stesso nome, ma le ditte che sponsorizzano pretendono che sui media la squadra si riconosca immediatamente con il loro marchio. Il calcio non ha bisogno di questo perché ha introiti, come quelli per i diritti tv, che noi non abbiamo.
Il progetto Roma ha bisogno di soldi per decollare".
Cosa vi aspettate? Roma ha la potenzialità per far convivere calcio e basket, come negli anni '80, quando la Roma calcio vinse lo scudetto e la Virtus, allora Banco di Roma, fece altrettanto riempiendo ogni domenica il Palaeur.
"Noi stiamo cercando di costruire qualcosa nel tempo, ma non vogliamo ottenere tutto e subito con il rischio di vedere poi la società fallire. Non sarebbe la prima volta e sapremo comportarci di conseguenza".
Francesco Lener