NEL giorno dell´esonero di Messina, quando i giocatori bianconeri sfilavano muti e faticavano a farsene una ragione, come tutti, solo uno di loro non mostrò particolare disappunto, consegnando in confidenza un commento distaccato: «Che volete farci, nel calcio succede sempre che caccino gli allenatori, e ogni tanto succede anche nel basket». Indovinato, era Abbio. Ed era ancora lui il giocatore descritto da Messina nel suo libro sulla passata stagione, che nelle stanze segrete dello spogliatoio mise il ditino minaccioso sotto il naso del coach. No, non era da un giorno che i due non si amavano più. Poi, sopportandosi, vincevano insieme, tanto e di tutto. Capita. Capitò pure a Sacchi e Van Basten, nel Milan. Solo che dal Milan ad andarsene fu Sacchi.
«Non mi sentivo più io – ha detto ieri Abbio dal suo hotel di Valencia -, e mi spiace non portare a termine quest´annata, e soprattutto rinunciare alle finali a Casalecchio, con una squadra cui auguro di vincere tutto. Ma i dissidi interni succedono, nello sport, e la mia decisione di andare è maturata dopo la sconfitta con Treviso. Già prima del derby però capivo che non ero più io, mangiavo e dormivo poco e male, non c´era più tranquillità». Nulla di chiassoso, scegliendo una linea soft, e del resto, con Abbio, c´era sempre più polpa ad osservare che ad ascoltare. Chi sa sbirciare con attenzione i concitati momenti del basket vissuti in panchina, ricorderà l´ultimo derby al PalaDozza in cui Picchio ignorò deliberatamente la stretta di mano di Consolini, o l´altra volta in cui uscì scuotendo la testa e mormorando in modo visibile, allo stesso Consolini, che lui non sarebbe mai più rientrato in campo. Non passò un minuto, Messina lo centrò in mezzo agli occhi col suo ghigno più duro, indicando il cubo dei cambi. Su cui Abbio, a testa bassa e sguardo torvo, si sedette immediatamente. Perché l´antipatia è un conto, e l´ammutinamento un altro. E di quest´ultimo, grave, reato sportivo, Abbio non si è macchiato, neppure in questo brutto finale della sua lunga, e strepitosa, avventura bianconera. Ormai incapaci di intendersi e di volersi, Abbio e la Kinder sono semplicemente scoppiati, come capita a certe coppie usurate anche dalla felicità. Messina non lo sopportava più, giudicandolo perfino dannoso per la chimica di gruppo. E lui non sopportava più Messina, che gli aveva levato la fascia di capitano, con gesto duro e punitivo. Verrebbe allora da dire che è stato meglio così, che in fondo è quanto ha detto lo stesso Abbio ieri alle 12, presentandosi a Valencia alla stampa, in attesa di mostrarsi in campo, forse già domani, contro il Barcellona.
«Ho lasciato la Kinder per motivi strettamente personali, adesso voglio tornare a divertirmi giocando. Quando un giocatore non è tranquillo, non gioca con le giuste motivazioni, difficilmente può dare il meglio. Io non mi sentivo in grado di aiutare la squadra come avrei voluto, e allora ho pensato che era arrivata l´ora di andarmene. Voglio comunque ribadire che la separazione è stata dolce, i dirigenti mi sono venuti incontro e adesso mi sento molto più sereno. Ed ora sono qui per mettere a disposizione del mio nuovo club la mia esperienza e il mio entusiasmo».
Esperienza ne ha da vendere, e anche a talento non scherza. L´entusiasmo invece l´aveva perso per davvero, e dovrà ricostruirselo. Ai tifosi mancherà molto, alla Kinder ancora non si è capito, agli avversari proprio per nulla.
(g.e.)
«Non mi sentivo più io – ha detto ieri Abbio dal suo hotel di Valencia -, e mi spiace non portare a termine quest´annata, e soprattutto rinunciare alle finali a Casalecchio, con una squadra cui auguro di vincere tutto. Ma i dissidi interni succedono, nello sport, e la mia decisione di andare è maturata dopo la sconfitta con Treviso. Già prima del derby però capivo che non ero più io, mangiavo e dormivo poco e male, non c´era più tranquillità». Nulla di chiassoso, scegliendo una linea soft, e del resto, con Abbio, c´era sempre più polpa ad osservare che ad ascoltare. Chi sa sbirciare con attenzione i concitati momenti del basket vissuti in panchina, ricorderà l´ultimo derby al PalaDozza in cui Picchio ignorò deliberatamente la stretta di mano di Consolini, o l´altra volta in cui uscì scuotendo la testa e mormorando in modo visibile, allo stesso Consolini, che lui non sarebbe mai più rientrato in campo. Non passò un minuto, Messina lo centrò in mezzo agli occhi col suo ghigno più duro, indicando il cubo dei cambi. Su cui Abbio, a testa bassa e sguardo torvo, si sedette immediatamente. Perché l´antipatia è un conto, e l´ammutinamento un altro. E di quest´ultimo, grave, reato sportivo, Abbio non si è macchiato, neppure in questo brutto finale della sua lunga, e strepitosa, avventura bianconera. Ormai incapaci di intendersi e di volersi, Abbio e la Kinder sono semplicemente scoppiati, come capita a certe coppie usurate anche dalla felicità. Messina non lo sopportava più, giudicandolo perfino dannoso per la chimica di gruppo. E lui non sopportava più Messina, che gli aveva levato la fascia di capitano, con gesto duro e punitivo. Verrebbe allora da dire che è stato meglio così, che in fondo è quanto ha detto lo stesso Abbio ieri alle 12, presentandosi a Valencia alla stampa, in attesa di mostrarsi in campo, forse già domani, contro il Barcellona.
«Ho lasciato la Kinder per motivi strettamente personali, adesso voglio tornare a divertirmi giocando. Quando un giocatore non è tranquillo, non gioca con le giuste motivazioni, difficilmente può dare il meglio. Io non mi sentivo in grado di aiutare la squadra come avrei voluto, e allora ho pensato che era arrivata l´ora di andarmene. Voglio comunque ribadire che la separazione è stata dolce, i dirigenti mi sono venuti incontro e adesso mi sento molto più sereno. Ed ora sono qui per mettere a disposizione del mio nuovo club la mia esperienza e il mio entusiasmo».
Esperienza ne ha da vendere, e anche a talento non scherza. L´entusiasmo invece l´aveva perso per davvero, e dovrà ricostruirselo. Ai tifosi mancherà molto, alla Kinder ancora non si è capito, agli avversari proprio per nulla.
(g.e.)
Fonte: La Repubblica