MILANO — Su giornali, siti ufficiali e nelle schermate trasmesse dalla tv c'è ancora Imola alle spalle dell'Olimpia. Questione di dettagli da ragionieri delle classifiche. La sostanza però è che l'Adecco di Pippo Faina è ultima in serie A. Eccola lì la bella decaduta, la squadra delle mille promesse, che in estate attendeva giocatori da Nba, allenatori come Messina o Tanjevic, giovani promesse come Becirovic: ora si ritrova con un pugno di mosche nella periferia di un campionato che la vede da troppi anni come inutile comprimaria.
A chi ha giocato, sudato, lottato, per quei colori biancorossi viene quasi un groppo in gola a commentare questo ultimo posto: «Mi viene da piangere - dice Pino Brumatti, 251 presenze in maglia Olimpia in dieci anni passati a Milano - non riesco a capire come possa essere successa una cosa del genere. Onestamente non conosco bene la situazione societaria e della squadra. So solo che l'Olimpia non può retrocedere, sarebbe una tragedia per tutto il basket italiano». Lui, detto «Pinot» ai tempi del Cinzano, è uno di quelli che la retrocessione in maglia Olimpia l'ha purtroppo vissuta: «Sì, ma quell'anno vincemmo la Coppa delle Coppe e dopo una stagione, quasi con la stessa squadra, tornammo subito in A1». In queste situazioni serve una società forte a fianco della squadra: «Certamente - risponde Brumatti - l'apporto della dirigenza è fondamentale per dare stimoli e consigli. Con una società latitante tutto è più complicato».
A proposito di società, cosa succederebbe in caso di retrocessione? Una risposta arriva da Dino Meneghin, altra bandiera dell'Olimpia: «Finire in Legadue sarebbe in disastro, vorrebbe dire dover rifare tutto da capo, ripartire ancora da zero. Magari un'ennesima rifondazione societaria sarebbe anche positiva ma Milano e la pallacanestro italiana non possono permettersi di avere un'Olimpia ancora lontana dal vertice. Le metropoli che vincono sono un taccasana per tutto il movimento». Ma come si spiega un tracollo simile? «Non è più facile assemblare squadre vincenti - spiega Meneghin - con l'apertura totale ci si fida molto degli agenti. Loro parlano bene di tutti, poi magari ti arriva la schiappa, ma lo scopri solo in palestra».
L'unica cosa certa è che fra Milano e l'Olimpia qualcosa si è rotto, da tempo: «A livello epidermico noto una scollatura fra la società e la città - osserva Vittorio Gallinari, simbolo del Billy di Dan Peterson - manca entusiasmo, l'ambiente è freddo e questo non aiuta durante una crisi. Ho visto diverse partite e sono rimasto deluso, come penso anche molti altri tifosi. Sono state fatte scelte strane come quella di lasciare fuori Lupo e di non dare molto spazio a Michelori e Mordente. Se non giochi per lo scudetto devi almeno valorizzare i giovani che hanno anche più feeling con i tifosi. Bisogna dare motivazioni al pubblico per farlo tornare ad amare l'Olimpia». E soprattutto bisogna dargli la serie A.
Maurizio Trezzi
A chi ha giocato, sudato, lottato, per quei colori biancorossi viene quasi un groppo in gola a commentare questo ultimo posto: «Mi viene da piangere - dice Pino Brumatti, 251 presenze in maglia Olimpia in dieci anni passati a Milano - non riesco a capire come possa essere successa una cosa del genere. Onestamente non conosco bene la situazione societaria e della squadra. So solo che l'Olimpia non può retrocedere, sarebbe una tragedia per tutto il basket italiano». Lui, detto «Pinot» ai tempi del Cinzano, è uno di quelli che la retrocessione in maglia Olimpia l'ha purtroppo vissuta: «Sì, ma quell'anno vincemmo la Coppa delle Coppe e dopo una stagione, quasi con la stessa squadra, tornammo subito in A1». In queste situazioni serve una società forte a fianco della squadra: «Certamente - risponde Brumatti - l'apporto della dirigenza è fondamentale per dare stimoli e consigli. Con una società latitante tutto è più complicato».
A proposito di società, cosa succederebbe in caso di retrocessione? Una risposta arriva da Dino Meneghin, altra bandiera dell'Olimpia: «Finire in Legadue sarebbe in disastro, vorrebbe dire dover rifare tutto da capo, ripartire ancora da zero. Magari un'ennesima rifondazione societaria sarebbe anche positiva ma Milano e la pallacanestro italiana non possono permettersi di avere un'Olimpia ancora lontana dal vertice. Le metropoli che vincono sono un taccasana per tutto il movimento». Ma come si spiega un tracollo simile? «Non è più facile assemblare squadre vincenti - spiega Meneghin - con l'apertura totale ci si fida molto degli agenti. Loro parlano bene di tutti, poi magari ti arriva la schiappa, ma lo scopri solo in palestra».
L'unica cosa certa è che fra Milano e l'Olimpia qualcosa si è rotto, da tempo: «A livello epidermico noto una scollatura fra la società e la città - osserva Vittorio Gallinari, simbolo del Billy di Dan Peterson - manca entusiasmo, l'ambiente è freddo e questo non aiuta durante una crisi. Ho visto diverse partite e sono rimasto deluso, come penso anche molti altri tifosi. Sono state fatte scelte strane come quella di lasciare fuori Lupo e di non dare molto spazio a Michelori e Mordente. Se non giochi per lo scudetto devi almeno valorizzare i giovani che hanno anche più feeling con i tifosi. Bisogna dare motivazioni al pubblico per farlo tornare ad amare l'Olimpia». E soprattutto bisogna dargli la serie A.
Maurizio Trezzi